LECCO – Applausi tiepidi hanno accolto martedì sera al Cenacolo la Salomé di Oscar Wilde (anteprima nazionale), per la regia di Alberto Oliva (produzione Teatro de Gli Incamminati e I Demoni).
L’impressione è di uno spettacolo che, soprattutto nella prima parte, necessita di rifiniture (ritmo, rapporto gesto e parola, modulazione delle voci); da curare è anche l’orchestrazione d’insieme (passi maldestri e incerti, stacchi bruschi). Il testo di Wilde ha perso così in molti punti il suo mordente, e l’alta poeticità di certi squarci lirici risulta diluita.
L’opera (scritta inizialmente in francese, pensata per la famosa danzatrice Sarah Bernhard) fu pubblicata nel 1894. Ricordiamo che appena l’anno seguente lo scrittore, accusato per la sua omosessualità, verrà recluso nei terribili carceri di Londra. Il dramma rientra nella temperie del decadentismo, con un’attenzione particolare agli intrecci di sensualità erotica e smania di potere, estetismo e sangue.
La vicenda è nota. Erode Antipa è il tetrarca di Giudea e obbedisce ai Cesari di Roma. Ha da poco sposato la moglie del fratello destando grande scandalo e da sei mesi trattiene prigioniero Jokanaan, cioè il Battista, per cui prova terrore e fascinazione, ma è anche ossessionato dalla bellissima figliastra, la vergine Salomé.
Le indicazioni di scena di Wilde tratteggiano «una gigantesca scalea e una cisterna, cinta da una vera di bronzo verde». In alto splende la luna piena, «una luna strana, come una donna morta che esce dalla tomba», elemento dominante nel dramma, simbolo di una bellezza inattingibile e testimone dell’orrore che si consuma a palazzo. Il regista Oliva riproduce la gradinata e a metà pone una grata, a coprire idealmente il pozzo dove è rinchiuso il Battista. Il centro di gravità dell’intero spettacolo è nel recesso tenebroso di questo carcere – quasi un presagio della prossima prigionia di Wilde. La trovata è interessante: tutti i personaggi infatti sono calamitati da quello spazio profondo, costretti a chinarsi e a proiettarsi in un abisso, invisibile per lo spettatore. Soprattutto, lodevole è la scelta di rendere il Battista come pura voce e mai come presenza fisica: dal pozzo sale la sua voce cavernosa (quella registrata di Franco Branciaroli), solenne ed enigmatica, che mescola profezie e ingiurie contro la corte corrotta, «cloaca di vizi».
Da questi segnali si ricava che Oliva rilegge il dramma in chiave introspettiva e quasi psicanalitica: i personaggi ricalcano la posa di Narciso, che si specchiava nello stagno e infatti si affacciano a esplorare le profondità del proprio animo e le paure dell’inconscio. Erode (Mino Manni) lo dice esplicitamente, mentre si abbassa sulla grata: «voglio vedere dentro di me», e non è un caso che, chinando il capo, gli cada la corona, rivelando la sua nudità di uomo. Ciò che vede laggiù, convogliato dalle parole terribili di Jokanaan, lo porta a un’instabilità che rasenta il delirio della follia.
A differenza degli altri personaggi in abbigliamento nero e dark, Salomé (Valentina Violo) si presenta velata e in bianco. È una principessa adolescente e capricciosa. Disgustata dal banchetto che si tiene a palazzo, si avvicina alla cisterna del Battista e vuole vederlo. Tutto di lui la inebria, la sua voce, il corpo bianco, i capelli neri. Soprattutto la bocca, «come melograno tagliato da un coltello di avorio, più rossa dei piedi rossi di chi torna dalla caccia, dopo aver ucciso tigri e leoni». Respinta dal Battista, che le vomita addosso insulti e maledizioni, Salomé giura che riuscirà comunque a baciare la sua bocca. Dopo aver danzato senza veli per Erode, gli chiederà proprio la testa del Battista. Il tetrarca, inorridito e spaventato, cerca di farle cambiare idea, offrendole ciò che di più prezioso ha nel suo regno, ma la fanciulla è irremovibile e alla fine otterrà il suo trofeo. Salomé può finalmente baciare la bocca di Giovanni, che tacerà per sempre nella testa mozza, ma il macabro lascia spazio al dolore dell’amante offesa e ferita. Ci saremmo aspettati però una Salomé meno gridata, più sanguigna e più straziata, presa nel suo vortice ossessivo e narcisistico di eros e sangue.
Lo spettacolo avrà senz’altro maggiore forza espressiva, limate le sbavature.
Gilda Tentorio