LECCO – “Signore e signori, Bienvenus, Wilkommen e Benvenuti a tutti voi!”, è con questo saluto cordiale che Maddalena Crippa, attrice di punta della scena italiana, ha accolto il pubblico del Teatro Sociale martedì 14 marzo. Vestita di nero, giacca e larghi pantaloni, arriva con passo scattante e ci introduce alla serata. Ciò che si richiede, oltre allo spegnimento dei cellulari (che qualche distratto ha lasciato acceso) è di abbandonarsi e lasciarsi andare alla magia del racconto. La Crippa ci porterà indietro di un secolo almeno, per dar voce a una favola della Belle Epoque. Si tratta di un rifacimento della famosa operetta La vedova allegra, di Franz Lehar, che debuttò nel 1905 e dopo due anni fu al Teatro dal Verme di Milano (nella traduzione di Ferdinando Fontanta). Racconto, musica, canzoni e danza, in una piacevole atmosfera di leggerezza e divertimento.
La vicenda è nota. Nel minuscolo Stato di Pontevedro, la giovane Hanna Glavari, di umili origini, si innamora ricambiata, del bel conte Danilo Danilovich che però cede alle pressioni della famiglia e si allontana. La bella Hanna, delusa, si consola presto sposando un banchiere vecchio e ricchissimo, che presto muore e le lascia in eredità una fortuna, depositata nelle casse statali. Hanna si reca a Parigi, dove diventa la regina delle feste ed è corteggiata per la sua bellezza e soprattutto per i suoi milioni. Le sue scelte d’amore rischiano di diventare una minaccia per la patria: il suo matrimonio con uno straniero causerebbe la bancarotta dello Stato di Pontevedro! Il governo quindi sguinzaglia l’ambasciatore per risolvere la questione: Hanna dovrà sposare un pontevedrino, e il candidato ideale è… il conte Danilo. In un turbine di equivoci, ritrosie, schermaglie, prove d’amore e sospiri, i nodi si sciolgono nel prevedibile lieto fine.
La Crippa riadatta l’operetta per la scena (il titolo infatti è L’allegra vedova – café chantant). Non aspettatevi decine di personaggi, lustrini e crinoline. La trama è ridotta all’osso e anzi diventa un one woman show. L’attrice è sola, accompagnata da bravi musicisti (flauto, chitarra, fisarmonica, contrabbasso, dal vivo) e interpreta diversi ruoli. Scoppiettante al punto giusto come narratore-presentatore, pronuncia alla francese e modi gentili e cerimoniosi: è lei che introduce, spiega, cede la parola ai personaggi, cercando la complicità del pubblico. In piedi sopra una bassa pedana rialzata, ricrea la tipica atmosfera del café chantant parigino. Dunque incarna i ruoli di presentatore, narratore e anche di prestigiatore: basta infatti una giravolta e voilà, ecco che cambia voce e si cala nel personaggio. Ora diventa Hanna, con una vocina in falsetto frivola e maliziosa, ora si abbassa a tonalità più cavernose, scurite da una pronuncia marcatamente russa, ed è Danilo, frastornato dal vino o dalle capricciose menzogne dell’amata. E naturalmente, come si conviene all’operetta, le scene parlate e dialogate si alternano alle famose arie dell’opera, come Venite su, sirene della danza, o la tirata misogina contro le femmine, creature «volatili, volubili, futili». A sorpresa, per darci un assaggio delle atmosfere scatenate del “Chez Maxime”, la Crippa sfila i pantaloni e resta in body e calze a rete, illuminata da un boa di piume fucsia, e accenna un can-can, sulle note di Noi siam le signorine delle sere parigine.
Istrionica e trasformista, la Crippa non è alla sua prima performance vocale: assai apprezzata ad esempio la sua rivisitazione di qualche anno fa di Gaber. È stata definita amazzone della scena e le si addicono ruoli forti. Insieme al marito Peter Stein ha in programmazione un Riccardo II in cui lei stessa vestirà i panni del sovrano, e sarà senz’altro una grande prova. In questo caso invece non ha del tutto convinto. Lodevole l’impegno e l’intento di offrire uno spettacolo in leggerezza, ma la riduzione all’osso della scintillante operetta rende la storia se possibile ancora più fatua e le doti vocali della protagonista non riescono a emergere appieno, soprattutto negli acuti e nelle scalate tonali. Interessante l’operazione di ibridare con il teatro un genere di per sé ibrido (l’operetta) e in alcuni momenti felici riemerge la vena teatrale della mattatrice Crippa, che in più occasioni tesse le lodi del valzer, un ritmo da riscoprire perché – dice con ironia nei panni del narratore, ammiccando al pubblico – è un’attività fisica piacevole e permette il rilascio di endorfine. E in effetti per i protagonisti il valzer ha una forza magnetica: “è un ritmo che sospira, respira, fluttua, si frange, si inchina, langue, e poi avvolge e porta via“. Abbandoniamoci al valzer della vita, sembra dirci la Crippa, e forse sarà più facile andare incontro a un lieto fine.
Gilda Tentorio
Foto di Luca D’Agostino dal profilo ufficiale di Maddalena Crippa