LECCO – Un piccolo esercito di bambini ha invaso domenica 3 gennaio il Teatro della Società per il terzo appuntamento della rassegna Teatro per le Famiglie. Dopo due testi di Luis Sepùlveda, questa volta va in scena una rilettura in chiave moderna delle Favole al telefono (1962) di Gianni Rodari, nell’interessante produzione del vicentino Teatro della Piccionaia (Premio Piccoli Palchi 2007-2008).
Nell’invenzione dello scrittore, il ragionier Bianchi, sempre lontano da casa per lavoro, telefonava ogni sera alla sua bambina per divertirla con brevi storie, dagli esiti imprevisti o strampalati. I narratori oggi sono invece Carlo Presotto e Paola Rossi. Anch’essi hanno il problema di soddisfare due figli esigenti che vogliono la favola della buonanotte: «Ma adesso noi siamo qui a Lecco con voi, come si fa?». A soccorrerli è la tecnologia moderna: una webcam e un videotelefono. Questa è la ricetta dello spettacolo Favole al (video)telefono (regia di Titino Carrara). E lo squarcio di finzione autobiografica iniziale rompe le distanze fra palco e platea, con un effetto di amicizia e complicità.
Parole-chiave di questo esperimento teatrale: piacere della narrazione, gioco e comunicazione. Assistiamo infatti a un tele-racconto: la voce narrante è accompagnata dalle immagini, create materialmente sotto l’obiettivo di una telecamera, collegata a un videoproiettore. Sullo schermo si dispiega quasi un libro tecnologico illustrato, dove l’immagine è un commento colorato o un potenziamento icastico della parola.
Il piacere del narrare resta intatto e si innesta su un gioco continuo di metamorfosi: lo schermo spalanca scenari di fantasia che parlano ai bambini in modo immediato. Non si vedranno sfilare cartoni animati, ma semplici oggetti quotidiani che, grazie alla parola, si trasformano in spazi immaginari: così, il mosaico dei tangram definirà i contorni del distratto Giovannino che perde pezzi del suo corpo per strada; i biscotti tracciano la vicenda di Zia Ada e degli uccellini. C’è posto anche per la poesia e la delicata bellezza degli origami, nella storia della fragile viola fiorita al Polo Nord. Soprattutto, nelle due favole più riuscite, i bambini non hanno alcuna difficoltà a riconoscere in un pennello Alice Cascherina, bambina curiosa che ha il vizio di cadere in ogni oggetto, e per il re Mida basta un dito avvolto in un cerchietto di carta dorata.
Dunque oggetti comuni e sempre riconoscibili, quando sono proiettati sullo schermo-telo magico, acquistano nuovi significati. È un gioco di polisemia accolto con naturalezza dai piccoli spettatori, ancora capaci di figurarsi mondi fantastici, a partire dalle forme del quotidiano.
L’interessante novità di questo percorso è il dialogo fra mondi in apparenza lontani. Le nuove tecnologie sono spesso accusate di impoverire la fantasia dei ragazzi, perché li proiettano in un mondo virtuale e pre-confezionato, isolandoli dalla realtà. La sfida qui è invece sfruttare le tecnologie nelle loro potenzialità comunicative. La telecamera è il gancio che permette di catturare l’attenzione dei piccoli, perché strumento a loro familiare, ma poi il virtuale si trasforma in esercizio di fantasia applicato alla realtà di tutti i giorni. Senza dimenticare che la miccia indispensabile per far esplodere la magia è la narrazione, e dunque la parola di Rodari e la parola drammatizzata: quindi gag comica, gestualità, danza, e interazione continua con il pubblico, che risponde con risate, gridolini, partecipazione.
Il senso di familiarità e accoglienza si concretizza alla fine, quando Carlo mostra i suoi “aiutanti”, cioè i visetti vispi di Chiara, Elisa, Fabiano e tutti gli altri piccoli spettatori, inquadrati dalla telecamera e idealmente saliti sul palco. Poi gli attori scendono fra i piccoli per conoscerli e dispensare alcuni consigli: si può giocare con il videotelefono e far parlare gli oggetti, e soprattutto occorre «imparare a leggere, per poi raccontare le favole… ai genitori»!
Gilda Tentorio