TEATRO PER LE FAMIGLIE
CHIUDE IL CICLO AL SOCIALE
UNA FIABA SU CIBO E AFFETTI

lupo nella pancia (1)LECCO – Al termine dello spettacolo Giorgia si avvicina al palco e dice con la sua vocina: “Siete stati proprio bravi” e l’effervescente Carlo Presotto le risponde: “Anche voi non siete stati niente male!”. Si può sintetizzare così l’alchimia fra i piccoli spettatori e gli artisti veneti della Piccionaia che hanno portato al Sociale di Lecco il loro ultimo lavoro, una collaborazione firmata con i Babilonia Teatri, fra gli autori della scena contemporanea più corrosivi e irriverenti. Si tratta di Ho un lupo nella pancia, fiaba moderna per bambini e adulti che si inserisce all’interno del più ampio progetto “Favole da mangiare” (si veda anche il sito interattivo Prodigi Educational). Sulla scia di Expo, il tema è infatti il nostro rapporto con il cibo e le abitudini alimentari legate al benessere o disagio psico-fisico.

Grazie a questa tenera storia impariamo che esiste infatti un metabolismo dei sentimenti, in cui il cibo diventa anche carburante per la fantasia.

Protagonisti sono Bianco (Matteo Balbo) e il suo papà (lo stesso Presotto), che di mestiere fa lo chef. Il loro rapporto (la mamma non c’è più) è privo di calore e di vera comunicazione, e il bambino si rintana sempre di più nella sua stanzetta (simbolicamente, un frigorifero) per sfogare la malinconia sulle note del suo flauto.

Il disagio comincia con un groviglio di pensieri che non riescono a tradursi in equivalenze linguistiche corrette, creando equivoci esilaranti. Bianco pensa “gelato” ma dice “pelato”, vorrebbe chiedere un “polpettone” e dice “minestrone”, un “tiramisù”, ed ecco un “cuccuruccucù”. Ma il peggio è che rifiuta ogni cibo e vuole solo latte (forse come surrogato alla perdita della madre), ma non riesce nemmeno più a pronunciare questa parola. Decide allora di trincerarsi in un silenzio di puntiglio e rabbia, accompagnato da un’insofferenza ipercinetica, che si sfoga sulla scena in salti e capriole.

La muta dialettica di abbracci vuoti fra padre e figlio, e i vani tentativi di spezzare il muro di solitudini, viene espresso in una sorta di balletto-lotta, sulle note dei Queen “I want to break free”.

Ogni sera il padre apparecchia cene principesche: crostate a forma di gatto con zampe di marzapane e baffi di liquirizia, minestre di fragola, arcobaleni di spaghetti, temporali di uvette, ma tutto è vano, perché il figlio non tocca nulla. In questa grammatica negata degli affetti funziona un solo codice, fatto di gesti meccanici: letto-cuscino-flauto-latte. Bianco cioè chiede l’attenzione dell’adulto con il flauto, ma lo scambio si risolve in quel bicchiere portato accanto al letto e subito svuotato per richiederne un altro.

lupo nella pancia (2)Qual è la malattia di Bianco? Semplice: ha un lupo nella pancia, mentre il padre a sua volta ha un toro. Infatti nella pancia di ognuno di noi c’è un animale: alcuni hanno un leone, altri vespe, serpenti o ali di gabbiano e piume di pavone. Come è potuto entrare un lupo intero nel pancino di Bianco? Un giorno piangeva con la bocca così spalancata che un lupo, passando di lì, l’ha scambiata per una caverna e si è infilato dentro. Vano ogni tentativo di liberarsi, come ci mostra una lotta sulla scena (una sagoma in legno di lupo è retta da Pierangelo Bordignon), e fra i bambini in platea qualcuno preoccupato chiede al papà: “ma quel signore lì ha davvero un lupo nella pancia?”

Sarà la notte, illuminata da una luna verde al neon, a creare la magia dell’incontro fra anime. Quando dorme, Bianco sa parlare benissimo e sogna di stare con il suo papà in cucina, per condividere mille avventure: partire alla ricerca di rarissimi chicchi di caffè, scolpire insieme sculture di panna… Solo allora riesce a dimenticare il suo “lupo” e a giocare con il papà. Finalmente il padre una notte “ascolta il figlio sognare” e il sogno diventa realtà: vanno al ristorante, dove danzano, suonano e soprattutto cucinano, si tirano addosso acqua e farina. E mentre la canzone Il cielo in una stanza segna la riscoperta della fantasia e della complicità fra padre e figlio, capiamo che non sono più soli: lupo e toro sono usciti dalla loro pancia, che finalmente si può riempire. E l’esplosione degli affetti è sancita da una bella scorpacciata di spaghetti al sugo in scena!

lupo nella pancia (3)Una volta chiusa la storia, arriva il turno delle risposte al pubblico, che chiede “se la pasta era buona”, e qualcuno arriva a toccare la pancia di Presotto, per controllare che non ci sia dentro nessun toro.

Fra una battuta e una risata, arrivano due chiari messaggi: sporcarsi le mani, creare e manipolare il cibo insieme a mamma e papà (e insieme poi anche pulire) è bello. E in fondo l’arte difficile del teatro è anche sapere quando è il momento giusto per buttare la pasta, dice Presotto. Nel senso letterale, e anche in quello metaforico, cioè saper cogliere i disagi, gli stimoli, i palpiti del reale per trasfigurarli in storie “da mangiare”, vibranti di lirismo, energia fisica e tenerezza.

 

Gilda Tentorio
Fotografie di scena di Eleonora Cavallo