STUPRO DI DERVIO, CONDANNATI
A QUASI TRENT’ANNI
I QUATTRO GIOVANI DI COLICO

MILANO – Tutti colpevoli, pena complessiva di 29 anni e 4 mesi. La seconda sezione della Corte d’Appello di Milano ha condannato i quattro giovani colichesi accusati di avere stuprato l’amica allora quindicenne V.B. dopo averle ceduto dello stupefacente. Pesanti le condanne. Sette anni e sette mesi a testa ai cugini Mattia e Daniel Fontanini e Marco Grigi; sei anni e sette mesi la pena per Manuel Pedrazzoli che avrebbe avuto un ruolo meno grave nella violenza.

I fatti avvennero a Dervio nella notte tra il 5 e il 6 marzo del 2005. La sentenza di primo grado a Lecco (assoluzione per insufficienza di prove) venne emessa nel dicembre 2009, quindi un primo pronunciamento di colpevolezza in Appello – successivamente annullato dalla Corte di Cassazione per vizi procedurali.

Oggi la sentenza della Seconda Sezione della stessa corte, di fatto una conferma di quella precedente. L’avvocato Fabrizio Consoloni che difende la parte lesa, ha parlato di una “piena conferma delle responsabilità penali da parte degli imputati, alla luce anche delle considerazioni della Corte di Cassazione”.

“Non posso essere che soddisfatto, anche in ragione dei torti subìti dalla mia assistita in questi anni” ha aggiunto Consoloni riferendosi ai tentativi di depistaggi, intimidazione e minacce messi in atto nei confronti della giovane vittima, indotta più volte a ritrattare. L’ex fidanzato, P. C., prima aveva raccolto le confidenze della ragazza e poi aveva ritrattato – ed è stato condannato a tre anni per inquinamento delle prove.

“Non condividiamo questa sentenza e siamo convinti dell’innocenza dei nostri assistiti: andremo fino in Cassazione” afferma invece Michele Cervati, l’avvocato che insieme a Laura Redaelli difende due degli imputati (Pedrazzoli e Grigi).

Una brutta vicenda, non abncora chiusa del tutto dunque, ma che ha già visto una vittima certa: la giovane V.B. che nel frattempo è stata costretta a lasciare il paese dove aveva vissuto i suoi primi anni della sua vita perché, dopo la prima sentenza di assoluzione era stata messa all’indice.