SPECIALE/MIGRANTI DI BARZIO, CRONACA E VITE VISSUTE DEI “PROFUGHI” ORA NEL LECCHESE

COE Barzio
La sede del COE in via Milano a Barzio.

BARZIO – Siamo diretti al COE di Barzio, che attualmente ospita 17 ragazzi richiedenti asilo. Quindici provenienti dalla Nigeria e tre dal Mali. Il posto è accogliente ma è una specie di limbo dove si attende, studiando l’italiano, usando il computer o impegnandosi in altre attività comunitarie, di ricevere lo status di rifugiato politico.

Incontriamo quattro di loro. Si sono conosciuti quando sono arrivati al Coe ma le loro storie sono incredibilmente simili, e significative. Nessuno di loro conosceva l’Italia, ci sono arrivati per caso, come meta ultima di un costante fuggire al destino.

L’approccio non è facile, non sono propensi a raccontare subito la loro storia. Capiscono a fatica l’italiano e parlano un inglese molto poco accademico. Ci vuole pazienza per comunicare, e a rompere il ghiaccio ci aiuta Enrico, un giovane volontario del Coe.

Dopo un’iniziale diffidenza i ragazzi si aprono e ci raccontano alcuni episodi del loro passato. La difficoltà a questo punto è nostra: capiamo presto che certe domande resteranno senza risposta, è evidente infatti il loro disagio nel rievocare ferite ancora aperte.

Tutti e quattro hanno alle spalle situazioni di miseria e violenza inaudita. Famigliari assassinati a causa di divergenze economiche o per faide parentali. Una lite per un campo, ad esempio. I. ha visto ammazzare tutti i suoi parenti per questioni di eredità. O. invece fuggiva dal desiderio di vendetta del clan di un uomo ucciso da suo padre.

Rimasti soli e con il terrore di essere rintracciati e uccisi, ognuno di loro ha deciso di nascondersi da amici nei villaggi vicini. Ma le voci corrono, quindi ci si allontana ancora, in altri villaggi sempre più distanti, poi nella capitale. Ci riferiremo a loro utilizzando le iniziali dei loro nomi; la loro identità è ancora protetta fino alla decisione sull’asilo politico, allo stesso tempo i ragazzi non volevano legare il loro racconto a dei nomi fittizi.

MIGRANTI COE gruppo primavera
Il ‘gruppo primavera’ poche ore dopo l’arrivo al COE.

Sopravvivere però è difficile. In Nigeria si sa che a nord, ben oltre il deserto, in Libia, le cose vanno meglio. C’è lavoro e la possibilità di poter ricominciare una vita tranquilla.

Nel suo villaggio P. era un barbiere e la sua fantasiosa pettinatura svela la sua bravura. I suoi occhi trasmettono tutta la sofferenza subita, anche se basta un sorriso a far trasparire la sua voglia di vivere. Lui, che è l’ultimo sopravvissuto della sua famiglia.

I. invece faceva il lattoniere. Ha una grande passione per questo mestiere e vorrebbe poterlo fare anche qui in Italia. O. ed E., lavoravano saltuariamente, il primo in piccole imprese di pulizie, il secondo invece ha fatto lavori di ogni genere, sempre per breve tempo, perché la sua famiglia non ha mai avuto i soldi per farlo assumere – in Africa occidentale funziona così.

Ma la Libia del dopo Gheddafi non è quella di cui si sente parlare in Nigeria. I quattro ospiti del Coe entrano in un paese in piena guerra civile, dove gli immigrati neri vengono calati in una condizione di razzismo e violenza.

Un lavoro lo si trova anche, sebbene in condizioni tra lo sfruttamento e la schiavitù. Caos e anarchia però si rigettano sugli africani non magrebini. I. racconta di bande di ragazzini libici armati – ma dalla gestualità pare quasi riferirsi a bambini – che derubano e minacciano gli immigrati.

E mentre per O. fu il suo datore di lavoro, un libico che lo aveva preso a cuore, ad indicargli il molo da cui poter lasciare Tripoli, gli altri tre furono fatti imbarcare con la forza. I. racconta di esser stato caricato su un’automobile e portato sino ad un porticciolo. E. venne gettato in un fiume con i vestiti che aveva indosso, e dovette raggiungere a nuoto una barca di piccole dimensioni. Il suo viaggio iniziò così: la barchetta raggiunse poi un natante più grande che attendeva al largo.

Nessuno di loro sapeva quale sarebbe stata la destinazione di quel viaggio per mare. Davanti l’ignoto e la speranza di arrivare vivi, chissà dove.

residenza migranti COE
Il villino all’ingresso del parco del COE, attualmente residenza dei migranti.

E’ marzo e l’operazione Mare nostrum è in pieno svolgimento. I barconi sui quali galleggiano i quattro giovani vengono tutti intercettati dalle navi della marina militare che li trasborda. Sbarcano in Sicilia dopo tre giorni di mare. A Barzio arrivano la notte del 21 marzo 2014.

Chiediamo allora della loro permanenza nel borgo valsassinese. Ci rispondono che si sentono accettati e che grazie alle partite di pallone all’oratorio hanno conosciuto molte persone. Sono cristiani evangelici pentecostali e spesso frequentano la chiesa del paese. Amano la cucina italiana – la pasta più di tutto – e si sono complimentati per la cuoca del centro, anche se preferiscono cibi semplici.

Si accontentano di poco, ci spiega il mediatore culturale, vogliono restare e lavorare in Italia ed attendono con ansia la risposta alla loro richiesta di asilo politico. Traspare infatti il senso di disagio dovuto allo stato di inattività e incertezza cui sono per il momento costretti.

Diciassette persone in attesa di ricominciare a vivere per dimenticare l’orrore lasciato alle spalle.
Sono qui da marzo… fino a quando?

Manuela Sabatini – Cesare Canepari