SPECIALE 8 MARZO/
AISHA E I SUOI FIGLI

20130307_123624LECCO – Il dito mignolo della mano destra Aisha Amadou non lo muove più. Nonostante il tentativo chirurgico non c’è stato nulla da fare. Lo ha così da quando nel 2005 nel suo Paese, il Togo, l’hanno selvaggiamente picchiata per riuscire a estorcerle il luogo dove suo marito Ismail si nascondeva. E molte altre sono le cicatrici fisiche e emotive che Aisha conserva suo malgrado di quel periodo. Ismail faceva politica, il Togo era devastato dalla guerra, lei era rimasta sola in casa con due bambini piccoli, Salik e Frial, il marito si nascondeva ai suoi nemici. Dopo quella terrificante aggressione Aisha cambia zona, va dalla sorella, prova ancora a cercare il marito e sparisce anche la sorella. Solo allora la giovane mamma che allora aveva 29 anni, decide di fuggire, la prossima vittima sarebbe stata lei.

Prende Salik, aveva 7 anni, e Frial, aveva 4 anni, e si dirige verso il deserto che divide il Togo dal Ghana.
La bimba in spalla, il bimbo per mano, camminano approfittando delle tenebre della notte, sfidando il clima freddisisimo del deserto nella notte africana.

Dopo una marcia forzata di più di cinque ore arrivano in Ghana. In quella notte che mai dimenticheranno lei e suo figlio, non c’è stato tempo per fermarsi, nemmeno per i bisogni fisiologici. Cibo e acqua non ce n’erano e pochi i soldi. Lei si era coperta alla meglio, aveva pensato a imbottire di vestiti i bambini, perché oltre al  freddo nel cuore non sentissero quello sulla pelle.

20130307_123606“Una volta arrivati in Ghana – racconta Aisha – non sapevamo dove andare. Solo poco dopo abbiamo incontrato un imam, noi siamo musulmani, che ci ha aiutati. Ci ha messo in contatto con una famiglia di
cristiani che con documenti rifatti ci ha portato in Italia. Ho dovuto tagliare i capelli a mia figlia perché sembrasse un maschio”. L’arrivo in Italia non è stato più fortunato “Da Malpensa siamo arrivati in Stazione Centrale a Milano dove per tre giorni io e i miei figli siamo stati al freddo e con poco cibo preso dalle
macchinette del caffè. Dormivamo lì. Poi siamo andati in questura per i documenti e di lì al centro di accoglienza dove siamo rimasti sei mesi”.

Un viaggio in Spagna e un matrimonio con un uomo che però ha
scoperto essere già sposato, dal quale è nato Sharuk. Da qui di nuovo la fuga in Italia, l’arrivo a Lecco al quinto mese di gravidanza e la nascita prematura del bambino, salvo solo grazie alla competenza del reparto di patologia neonatale del Manzoni. Ora lei con i figli 14, 11 e 5 anni, abitano in una casa popolare di Pescarenico.

Lei lavora da qualche mese in una fabbrica e continua a sorridere alla vita. Cosa ti manca adesso? “Il mio paese, e anche i miei figli vorrebbero vederlo e mio marito. Mi sento una persona a metà senza di lui”. Nel frattempo in Togo del marito non si è più saputo nulla, la sorella di Aisha è morta vittima del conflitto e così la mamma non ha retto a tanta crudeltà e il padre era già morto.

Cosa insegni ai tuoi figli? “ Ad accettare le cose anche se sono difficili. Se lo imparano adesso sono pronti per il futuro”.

Bianca Bardi