«Nel primo trimestre del 2015 il prodotto interno lordo (PIL) è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed è risultato invariato rispetto al primo trimestre del 2014».
Così parlò l’Istat, che il 13 maggio ha dichiarato che l’Italia, dopo anni di agonia e di mancata crescita, è fuori dalla recessione. Un risultato incoraggiante e speranzoso, che vede il carro della nostra economia trainato principalmente dall’aumento del valore aggiunto dell’Agricoltura e dell’Industria. Pacata la reazione da parte del ministro Pier Carlo Padoan e del presidente Matteo Renzi, che – sotto l’espressione sorniona – cela una soddisfazione che però non gli spetta.
Il risultato, non entusiasmante, ma comunque in controtendenza rispetto ai dati tedianti dei mesi passati, non è certo da addebitare allo straordinario percorso delle riforme – ancora prematuro e che piace solo al Fondo Monetario Internazionale – ma piuttosto ad una situazione di miglioramento generale in tutta l’eurozona partorita dal Quantitative Easing, l’operazione di mercato aperto con cui la BCE acquista titoli dalle banche immettendo liquidità nel sistema economico. I risultati costano però all’Italia la promozione proprio da parte del FMI con l’invito a continuare il percorso riformista, accelerando sulle privatizzazioni e sulla sistemazione dei conti pubblici. Niente di nuovo.
Non si fa in tempo a brindare per i risultati che arriva, nel silenzio generale dei media, un altro risultato pubblicato dall’OCSE, il better life index, che su un campione di 36 paesi vede l’Italia posizionarsi al 23esimo posto, un gradino sotto rispetto a Slovenia e Repubblica Ceca. Il Belpaese si attesta sopra la media per quanto riguarda l‘equilibrio vita privata-famiglia, reddito e ricchezza e stato di salute ma arranca per ciò che attiene alle relazioni sociali e all’istruzione ( 21° posto ), all’impegno civile ( 23°posto), al benessere soggettivo e alla qualità dell’ambiente ( 26° posto ).
Nei meandri oscuri, al 29esimo posto, troviamo lavoro e retribuzione. Focalizzandosi sull’Italia, è significativo il dato sulle differenze nell’occupazione tra la provincia di Bolzano e la Campania, che accerta l’ormai atavica disparità del nostro paese, e sulla sicurezza dove troviamo la provincia di Trento e la Calabria agli antipodi.
Prosegui la lettura su Il Fascino degli Intellettuali