RUBRICA: PSICOLOGIA & DINTORNI. 2/IL FENOMENO BULLISMO

LECCO – I bambini in età scolare strutturano la loro identità attraverso il gruppo dei pari, cioè gli amici, i compagni di scuola, i coetanei. Questo facilita l’emancipazione dagli adulti attraverso confronti, identificazioni reciproche, attività condivise. Le abilità sociali vengono stimolate, dato che al bambino viene offerta la possibilità di sperimentarsi in ruoli diversi da quelli di figlio e di iniziare a definire una personalità autonoma. Infatti, nel rapporto con i pari, il bambino non è accettato aprioristicamente come in famiglia, ma deve conquistare le simpatie dei compagni, collaborare, modulare l’espressione delle emozioni e costruirsi uno “status” dentro al gruppo.

bullismo1All’interno di questa delicata cornice evolutiva esistono, però, alcuni bambini che cercano di affermare sé stessi in modo coercitivo, prevaricando intenzionalmente i coetanei. Tale fenomeno, caratterizzato da comportamenti violenti ripetuti, è chiamato bullismo (dall’inglese “bullying”).

Lo studioso più importante di questi comportamenti aggressivi e vessatori è lo psicologo norvegese Olweus, che ha compiuto ricerche sulla diffusione del fenomeno, ha costruito un questionario anonimo sulle violenze, sia perpetrate che subite, e ha predisposto una serie di interventi per contrastarle. Egli ha spiegato che le tre caratteristiche principali del bullismo sono: l’intenzionalità (ovvero la volontarietà), la sistematicità (nel senso di continuità nel tempo) e l’asimmetria di potere (differenze fisiche e psicologiche tra bullo e vittima).

La sopraffazione da parte del bullo può essere attuata in due modi: diretto, ovvero prettamente fisico o comunque manifesto; indiretto, come isolamento sociale, calunnie, coalizioni esclusive, cyber-bullismo.

Il bullismo è un fenomeno che non riguarda solo il bullo e la vittima, ma coinvolge l’intero gruppo di pari, all’interno del quale ciascuno ha il suo ruolo. Vi si riconosce, ad esempio, la vittima passiva, che può essere sia maschio che femmina, che registra livelli più bassi di autostima ed è tipicamente più ansiosa, insicura e fisicamente debole rispetto agli altri bambini. Generalmente manca di rapporti di amicizia di buona qualità e di abilità socio-relazionali efficaci. Sembra che il suo comportamento segnali indirettamente agli altri l’incapacità di reagire di fronte agli insulti ricevuti. La vittima provocatrice è, invece, una variante della vittima “classica”: presenta una combinazione di entrambi i modelli reattivi, quello ansioso e quello aggressivo, proprio dei bulli. Si tratta di un soggetto, spesso maschio, solitamente insicuro, con una bassa autostima, impulsivo ed irrequieto, che provoca involontariamente gli attacchi attraverso il comportamento che manifesta all’interno del contesto di gruppo. Vi è poi il bullo dominante, caratterizzato dall’aggressività verso i coetanei, ma anche verso adulti ed insegnanti. La gamma di comportamenti descritti per tali bambini si accosta alla figura ”alunno aggressivo rifiutato”: scarsamente empatico, fatica a riconoscere la sofferenza delle vittime, non sapendone leggere i segnali. L’ipotesi è che questi bulli siano denotati da una “cognizione fredda”: sarebbero cioè capaci di conoscere i sentimenti, i pensieri e le motivazioni degli altri, ma in maniera distorta, utilizzando tale conoscenza per manipolare la situazione a proprio vantaggio, tramite la dominazione. Gli altri protagonisti sono i bulli passivi e gli spettatori. I primi sono individui non direttamente coinvolti, ma che assistono e rinforzano il comportamento del bullo, incitando e ridendo, oppure sono semplicemente a conoscenza degli episodi di prevaricazione. Si tratta di un gruppo eterogeneo di soggetti che può comprendere studenti insicuri e ansiosi, che si sentono protetti dalla “potenza” del bullo. I ragazzi che sostengono i bulli, come anche quelli che con apparente indifferenza non intervengono, favoriscono il perpetrarsi del fenomeno. Questi ultimi sono i cosiddetti spettatori, ovvero quella “maggioranza silenziosa” che, pur non approvando le prepotenze, di fatto le tollera e non interviene per paura di ritorsioni. Da ciò è possibile riconoscere nel fenomeno una dimensione di gruppo: il rinforzo reciproco, volontario o involontario, dei soggetti coinvolti determina effetti significativi per il perpetrarsi degli episodi di prepotenza.

Non è possibile ricercare delle cause lineari del bullismo; si parla bensì di fattori di rischio e fattori di protezione, sistemicamente associati alla maggiore o minore probabilità di assumere atteggiamenti da bullo o da vittima.

Per quanto riguarda i fattori individuali, i maschi prevaricano più delle femmine, ma sono anche più vittimizzati. Maschi e femmine non utilizzano gli stessi modi per esprimere l’aggressività e i primi fanno più comunemente ricorso a quella diretta. Gli studi hanno dimostrato che i bulli maschi hanno una rappresentazione positiva della violenza. Questo è confermato dal lavoro di Finnegan, secondo cui  un temperamento sfidante e oppositivo rappresenta un fattore di rischio per il bullismo agito, mentre un carattere pauroso e privo delle competenze sociali necessarie per stringere amicizie è un fattore di rischio per le vittime. Un altro importante fattore di rischio è legato a quelle che Bandura chiama le forme di disimpegno morale, cioè le strategie cognitivo-discorsive con cui i ragazzi giustificano le loro trasgressioni ed evitano le loro responsabilità. Le forme di disimpegno morale possono strutturarsi, diventare un modello di riferimento e in qualche maniera svincolare il soggetto dalle norme. Una di esse è la diffusione della responsabilità, che osserviamo soprattutto nelle dinamiche di gruppo: “ero con gli altri, lo facevano tutti”, dice il ragazzo, sentendosi perciò meno responsabile; altri meccanismi gruppali sono la dislocazione della responsabilità (quando si dice “io ubbidivo agli ordini”) e la deumanizzazione della vittima. E’ innegabile, inoltre, l’importanza della famiglia come sistema normativo. L’utilizzo di un modello di educazione autoritario e di un comportamento aggressivo costituiscono dei fattori importanti nello sviluppo del comportamento prevaricatorio. Al contrario, uno stile genitoriale autorevole, accompagnato ad uno stile comportamentale affettivamente competente, costituiscono un importante fattore di protezione aumentando le abilità relazionali del bambino e rinforzando le strategie di coping. Esistono anche fattori scolastici implicati, con valenza positiva o negativa, nella genesi del fenomeno. L’insuccesso scolastico, insieme alla competitività elevata dell’ambiente, sono tra i fattori più frequentemente individuati fra quelli che generano tali comportamenti, mentre l’attaccamento alla propria scuola e l’impegno verso di essa risultano fattori di prevenzione rispetto ai comportamenti devianti e alla delinquenza.

bullismoIl bullismo oggi è riconosciuto a livello internazionale come un fenomeno multidimensionale, una “relazione disfunzionale” tra coetanei che può mettere a repentaglio il benessere psicologico del bambino o dell’adolescente e produrre effetti che si protraggono nel tempo, comportando dei rischi evolutivi tanto per chi agisce le prepotenze, quanto per chi le subisce. Per queste ragioni viene considerato come uno dei più significativi fenomeni di devianza di gruppo attualmente esistenti. I bulli, se perseverano nel loro atteggiamento, rischiano di sviluppare disturbi della condotta e successivamente disturbi antisociali della personalità, mentre le vittime possono sviluppare depressione anche molto grave, sentirsi vulnerabili e privi di valore. Gli atti di bullismo, quindi, non sono da liquidare come semplici “ragazzate”, ma possono diventare pericolosi, sia nell’immediato che nel futuro dello sviluppo. Risulta quindi opportuno agire attraverso la prevenzione, l’incremento della sensibilità al fenomeno e la promozione di abilità sociali tra i bambini.

Alberto Zicchiero, psicologo
Iscrizione Opl n. 17337

 

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