PIANI D’ERNA – Una nutrita delegazione dell’Anpi si è ritrovata domenica mattina ai Piani d’Erna, per ricordare un momento importante della storia della città che segna l’inizio della Resistenza lecchese al nazi-fascismo: la battaglia d’Erna che prese avvio il 17 ottobre del 1943. “Noi consideriamo il 17 ottobre 1943, assieme al 7 marzo 1944 e all’11 luglio 1944, un momento costitutivo del nostro Dna democratico e oggi vogliamo ricordare questa battaglia assieme ad una delle sua protagoniste: Francesca Vera Ciceri (nella foto in basso), che con suo marito Gaetano Invernizzi, è stata una delle forze dell’antifascismo e della nascita democrazia – spiega Enrico Avannina, presidente della sezione provinciale dell’Anpi”.
È Marica Ara a ricostruire la vicenda biografica, politica e umana di questa figura chiave della Resistenza lecchese. “Al Pizzo d’Erna, tra il 17 e il 20 ottobre 1943 si svolse la prima battaglia della Resistenza nell’Italia Settentrionale. Il gruppo di Erna dipendeva dal Comando di Lecco e come formazione partigiana prese il nome da Carlo Pisacane; era formato da circa 130/150 persone al comando di Renato Carenini, Gaetano Invernizzi e Vera Ciceri con dotazioni di quattro mitragliatrici, qualche mitra e poi fucili e pistole. L’attacco dei tedeschi partì con operazioni di rastrellamento tra il 16 e il 17 ottobre, supportato dall’artiglieria e da una divisione di Cacciatori delle Alpi che si mosse dalle quattro direttrici principali occupando Lecco e la Valsassina. Il 18 e il 19 ottobre i tedeschi circondarono il territorio di montagna, si accesero scontri a fuoco intorno al Rifugio Stoppani e al Passo del Fo’ e attaccarono Erna.
I partigiani che si trovavano rimasero pochi e grazie al buio si diedero alla fuga nell’alta Valsassina e nella bergamasca riuscendo a ritardare e ostacolare la salita dei tedeschi. Furono sette i caduti che qui ora noi onoriamo e questa lapide ricorda. Anche Francesca Vera Ciceri era tra i partigiani della Pisacane, per la verità è stata la prima partigiana ad arrivare ai Piani d’Erna e, con suo marito Gaetano, saranno gli ultimi a venire via, dopo avere eliminato documenti che non dovevano finire in mani nemiche e da lì riusciranno a scappare a Milano”.
Francesca nasce a Rancio il 23 agosto 1904 in una famiglia modesta e, rimasta orfana di padre a dieci anni, già a dodici anni è al lavoro in fabbrica. Durante la Prima guerra mondiale i fratelli vengono richiamati alle armi e in casa restano solo lei con la madre e la sorella in una situazione di miseria. A 15 anni Francesca è operaia metalmeccanica alla Rocco Bonaiti di Lecco dove frequenta i sindacati della fabbrica e in quel periodo conosce Gaetano Invernizzi, figlio di tappezzieri di Acquate, nato nel 1899 da una famiglia era radicale. Nel corso della Grande guerra, entrando in contatto con la realtà di miseria e soprusi patiti dal proletariato, Gaetano matura la sua scelta socialista.
“L’incontro tra Francesca e Gaetano (che per lei sarà sempre Nino) si rivelerà determinante – prosegue Ara – saranno sempre uniti sia nella vita privata sia nella militanza politica in un percorso di vita e di impegno comune. Nel 1920, durante il biennio rosso, Francesca partecipa con entusiasmo all’occupazione delle fabbriche e proprio la fabbrica costituirà per Francesca il canale privilegiato attraverso il quale far crescere l’opposizione al fascismo e il desiderio di far politica. Nel frattempo Nino nel 1922 aderisce al Partito comunista e ben presto è costretto dal regime fascista a lasciare l’Italia e, nel 1924 Francesca riuscirà a raggiungerlo a Parigi, dove si sposeranno nel 1925”.
Negli anni dell’emigrazione Vera conosce nuove opportunità di lavoro, conquista spazi di libertà, di autonomia e raggiunge capacità politiche che le fanno guadagnare la fiducia del Partito. Lavora accanto a Nino tra gli immigrati, soprattutto tra le donne e per le donne. Nel 1929 entra nel Pci, nello stesso anno, per motivi politici, con Nino si rifugiano a Bruxelles, dove vivranno momenti di grandi difficoltà, senza lavoro e senza appoggio. Nel dicembre 1930 Nino viene chiamato a Parigi da Togliatti e Longo: partono immediatamente. Più tardi il Partito propone a entrambi di svolgere il lavoro in Italia, come lei stessa ebbe a dire “è stato giusto, perché in questo modo siamo stati presenti in Italia per tutto quel periodo e al momento della liberazione ci siamo presentati con le carte in regola. Il risultato del lavoro di quegli anni è difficile da misurare. Ma il più importante obiettivo, quello di testimoniare con la nostra attività che lo spirito antifascista non era morto, è stato raggiunto. Il nostro partito ha una grande storia. Non se ne parla mai abbastanza. I nostri giovani non sanno”.
“Cominciano i viaggi clandestini in varie regioni d’Italia di Vera e Nino che sono tra i pochi che riescono a filtrare le maglie della polizia fascista con tutti i rischi e le difficoltà di questi spostamenti, per portare propaganda, cercare di attrarre interesse e vincere la paura, procurarsi i materiali e incanalare la lotta delle mondine e trovare dove potersi sistemare e non provocare curiosità e delazioni. In qualche modo vengono segnalati alla polizia fascista, e allora, per sottrarli alla vigilanza dei poliziotti e permettere loro di riposare dalla tensione del lavoro clandestino e migliorare la loro preparazione politica-ideologica, vengono inviati a Mosca nel 1932. Al loro ritorno nel 1935, riprendono i viaggi in Italia fino al 13 giugno 1936 quando vengono arrestati a Milano.
Francesca non parla, non denuncia, ammette solo di essere comunista e di voler lottare per abbattere il fascismo. Al processo che verrà fatto al Tribunale speciale fascista di Roma il 22 maggio 1937 Nino viene condannato a 14 anni e Vera a otto anni, l’accusa è di cospirazione contro lo Stato e ricostituzione del Partito comunista. Nino viene incarcerato a Castelfranco Emilia e sarà liberato nel luglio ’43. Vera sconta la pena nel penitenziario femminile di Perugia, la più severa delle tre case di pena femminili, sconterà quattro anni e tre le saranno condonati grazie alla nascita dei figli del principe ereditario: uscirà nel giugno 1941 in precarie condizioni di salute e dimagrita di 20 chili”.
Vera dopo il 25 luglio 1943 riprende la sua attività politica: entra a fare parte del comitato d’azione antifascista di Lecco e con Nino passa dal lavoro in clandestinità alla lotta partigiana, armata, in montagna, con il bagaglio di un’esperienza straordinaria. Dopo la battaglia di Erna riescono ad andare a Milano e prendere contatti con il partito, dove però resteranno in condizioni precarie fino alla fine della guerra. Nino avrà responsabilità sindacali sempre maggiori e Vera continuerà la sua attività dirigendo la rete dei Gruppi di Difesa delle Donne dai quali nasceranno i quadri femminili delle formazioni armate di città e di fabbrica Gap e Sap. A Liberazione avvenuta Gaetano Invernizzi assume ruoli di grande rilevanza nell’organizzazione sindacale e viene eletto deputato, muore nel 1959.
Vera dopo il 1945 diventa dirigente della federazione femminile del partito e poi della sezione femminile del sindacato a Milano. Delusa e amareggiata per il non concretizzarsi degli ideali in pratiche quotidiane, si dimette e svolge lavoro di assistenza verso gli emigrati e gli emarginati. Dopo la morte di Nino Vera torna a Lecco dove, negli anni ’80 diventa presidente dell’Anpi, una delle prime donne a ricoprire l’incarico. Nel 1977 le viene conferita Medaglia d’oro per i meriti patriottici e civili dall’Amministrazione comunale di Lecco.
E a Lecco muore il 19 gennaio 1988 fino all’ultimo presenza importante e autorevole dell’Anpi. Prima di morire Francesca consegnò degli oggetti personali (la sua fede, il suo foulard e le carte da gioco che usava in carcere) a Fausto Mangili, mentre a Donato di Santo regalò alcune fotografie in cui sono immortalati dei momenti della sua vita personale e politica. Le fotografie sono state donate all’Anpi e proprio in occasione della commemorazione di stamane Mangili ha espresso la volontà di seguire la stessa strada, così da lasciare alla collettività un ricordo anche tangibile di questo straordinario personaggio.
Manuela Valsecchi