QUANTA SPAZZATURA GALLEGGIA
SOPRA LE NOSTRE TESTE?
LO STUDIA IN INGHILTERRA
UNA DOTTORANDA CALOLZIESE

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GALBIATE – Non solo l’uomo inquina mari, terre emerse e sottosuolo, ma da tempo ha abbattuto anche l’ultima frontiera, accumulando i suoi rifiuti ben oltre il pianeta Terra.
La “spazzatura spaziale” o per meglio dire i detriti spaziali sono stati protagonisti della serata organizzata dalla Biblioteca di Galbiate all’Auditorium Golfari.

Laura Pirovano, giovane dottoranda in ingegneria  aerospaziale, originaria di Calolziocorte e oggi impegnata alla University of Surrey in Inghilterra, ha illustrato l’oggetto dei suoi studi e del suo lavoro.

Quanta spazzatura c’è sopra le nostre teste?
Bè si stima che su 4 oggetti spaziali maggiori di 10 cm, 3 siano detriti, satelliti non più funzionanti o parti di essi.
Per rimanere in questa fascia di grandezza consideriamo che abbiamo circa 4.320 satelliti non funzionanti e più di  4.000 lanciatori (e altri oggetti relativi alla missione), a cui si aggiungono altri 13.000 pezzi di satelliti.
Se scendiamo di misura si stima esistano 700.000 pezzi tra 1 cm e 10 cm e ben oltre 1 milione tra 1mm e 1cm.

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E pezzi così piccoli quale danno possono fare?
Innanzitutto possono gravemente danneggiare i satelliti attivi, circa 1.200, che sono davvero importanti per la nostra vita quotidiana: dal meteo alle telecomunicazioni, passando per il GPS del nostro navigatore. Anche oggetti minuscoli possono essere pericolosi: un vetro della stazione internazionale è stato scheggiato da un residuo di vernice della dimensione di 1 micrometro!
A questo si aggiunge il problema della saturazione della “discarica spaziale”: la Sindrome di Kessler è infatti uno scenario ipotizzato in cui una serie di collisioni a cascata fra detriti e satelliti ne causa altri in maniera esponenziale, arrivando così ad un punto di non ritorno e rendendo di fatto impossibile l’attività spaziale.

Come si è arrivati a questa situazione?
20180105_212741Negli anni ’60, quando la corsa allo spazio era la priorità, nessuno si è preoccupato della possibilità di “inquinare lo spazio”, delegando il problema al futuro. Inoltre c’è stato un incremento anomalo dei detriti dovuto nel 2007 ad un test antimissilistico cinese che ha colpito e distrutto un satellite causando una miriade di detriti, seguito nel 2009 da un altro “incidente” ovvero uno scontro tra un satellite russo e uno americano.

Cosa si sta facendo ora per arginare il problema?
Le regole attuali prevedono che ogni satellite debba lasciare le orbite densamente popolate entro 25 anni. I satelliti che partono dalla Terra quindi, al termine della loro “vita operativa”, o vanno all’esterno nelle “orbite cimitero” o rientrano nell’atmosfera dove bruciano quasi interamente, mentre il restante cade in una zona del Pacifico, lontano dalle terre emerse.

In cosa consiste il tuo lavoro?
Sto elaborando un algoritmo che possa, in tempi rapidi, identificare gli oggetti sconosciuti registrati  dagli osservatori, in modo da creare un catalogo di tutti gli oggetti in orbita.
Utilizzando le foto degli osservatori, cerco di capire se due oggetti fotografati in momenti diversi sono in realtà lo stesso, ricostruendone il cammino: in questo modo si potrebbero deviare i satelliti attivi in caso di prevista collisione ma anche intervenire per recuperare i detriti. Come già successo negli anni ’60, si è stimato le regolamentazioni in atto, non sono comunque sufficienti ad evitare il punto di saturazione e l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, sta già progettando una sorta di “satellite netturbino” in grado di catturare e trascinare nell’atmosfera i detriti e i vecchi satelliti che costituiscono la spazzatura spaziale.

Chiara Vassena