LECCO – Imprevedibile è la vita, imprevedibili spesso anche i frutti della ricerca scientifica. Purché si parta da un atteggiamento positivo davanti anche al più complesso problema medico: il presupposto che la cura si troverà. Con Pierluigi Strippoli, docente di biologia applicata all’università di Bologna, queste parole sono calate nella concreta quotidianità delle persone (e dei loro familiari) affette da sindrome di Down.
L’occasione, l’incontro “Ricercare per curare. Il ruolo della ricerca biomedica al tempo della manipolazione dell’uomo”, promosso in sala Ticozzi a Lecco dal Centro culturale Alessandro Manzoni e dall’associazione “Vola con Martin oltre il 21”, nata a Mandello nel 2018 e che ha come scopo quello di supportare la ricerca scientifica su questa malattia. Imprevedibili, certi risultati, solo se si pensa che nella seconda metà dell’Ottocento i piccoli “mongoloidi” venivano giudicati inguaribili, e la loro malattia ritenuta un’anomalia impazzita delle razze umane, così come descritta dal medico inglese John Langdon Down (da cui il nome della sindrome). Una “certezza” rimasta tale – a livello medico ma pure sociale ed umano – fino al 1958, quando il francese Jerome Lejeune, il padre della genetica medica moderna, scoprì che la sindrome di Down è dovuta alla presenza di una anomalia cromosomica, quella del cromosoma 21.
Una scoperta che diede una svolta alla ricerca e anche alle cure: negli anni ’50 del secolo scorso solo una persona down ogni quattro superava i vent’anni di vita, mentre oggi l’aspettativa è attestata attorno ai sessanta e, ha raccontato Strippoli, tra i suoi pazienti alcuni hanno già festeggiato i settant’anni. Eppure Lejeune capitò per caso a studiare la sindrome: giovane laureato, sbagliò a prendere la metropolitana di Parigi, finì dall’altra parte della città rispetto al luogo dove si teneva l’ammissione alla specializzazione in chirurgia, suo obiettivo, e si ritrovò costretto – per continuare il suo lavoro – a dedicarsi alla pediatria. Si imbatté in bimbi Down, si convinse che le vecchie spiegazioni sulle cause della sindrome erano ormai inaccettabili. E con la sua equipe spostò il campo d’osservazione fino alla scoperta del 1958.
Anche per il professor Strippoli, tra i più attenti e tenaci studiosi italiani della malattia, l’incontro con questo campo di ricerca è stato più o meno casuale: la segnalazione da parte di un amico canadese di un convegno a Parigi, l’incontro con la moglie e le figlie di Lejeune, il loro invito a continuare le ricerche dello scienziato francese, il contatto diretto – a Bologna – con i bimbi Down: ora Strippoli guida una piccola squadra – sempre alla ricerca di aiuti e finanziamenti – che dentro quel cromosoma 21 va alla ricerca dei “colpevoli”, come li ha definiti, della malattia. Una ricerca complessa, ma che sta dando i suoi frutti e che nei prossimi mesi – ha annunciato Strippoli – potrebbe far compiere un ulteriore salto in avanti negli studi sulla sindrome di Down. Ma intanto molti passi sono stati compiuti, a cominciare dalla certezza che la disabilità mentale propria di questa malattia non diminuisce le capacità di comprensione del malato, anzi, ma è dovuta piuttosto alla incapacità di espressione di chi è affetto dalla sindrome.
Nel corso della serata è intervenuto Davide Orio, il papà del piccolo Martin fondatore dell’associazione “Vola con Martin oltre il 21”. Orio ha raccontato degli esiti dei controlli prenatali che diagnosticarono la sindrome di Down per il figlio che la moglie Ombretta portava in grembo, la scelta di farlo nascere comunque – molti genitori preferiscono imboccare la drammatica e dolorosa via dell’aborto terapeutico -, le difficoltà di una vita quotidiana complessa anche per le cure da assicurare a Martin, che ha compiuto tre anni e che a soli sei mesi è stato operato al cuore, la non sempre stringente attenzione delle strutture sanitarie a garantire supporti adeguati ai piccoli affetti da questa malattia.
Di qui la decisione di promuovere l’associazione che, forte di una cinquantina di soci, sostiene anche economicamente la ricerca del professor Strippoli, e che in queste settimane si è data l’obiettivo di raccogliere fondi per l’acquisto di un nuovo microscopio per il centro di ricerca bolognese. “Perché – ha sottolineato Davide Orio – c’è comunque una sorta di resa, davanti a questa malattia, anche tra gli operatori sanitari. Noi vorremmo più ricerca e più attività clinica mirata, un sostegno concreto, a livello medico e di supporto alle famiglie, da parte delle strutture sanitarie. Per dare più prospettive ai genitori e ai loro piccoli, per mostrare concretamente che c’è una speranza positiva anche per loro, e non solo la scelta per l’aborto”.
“Ogni vita merita di essere vissuta, condivisa, aiutata – ha aggiunto dal canto suo Gianluca Bezzi, presidente del Centro culturale Alessandro Manzoni -: e l’imprevedibilità della vita e delle scelte, come testimoniato dall’esperienza di Lejeune piuttosto che del professor Strippoli, testimoniano che un avvenimento inatteso può portare un cambiamento personale e sociale straordinario. Si tratta di accettare questa sfida, come stanno facendo anche gli amici dell’Associazione Vola con Martin oltre il 21”.