NOBILI, PM ANTIMAFIA,
PARLA AI GIOVANI
DI CALOLZIOCORTE

IMG_4209CALOLZIOCORTE – In tantissimi ieri hanno seguito la serata Trasformazione della Mafia negli anni e il suo modus operandi nella società civile alla sala civica ‘Don Bolis’ di Calolziocorte. L’incontro sulla legalità ha avuto come protagonista Alberto Nobili, Procuratore aggiunto di Milano, che indagò nell’inchiesta “Wall Street” insieme ad Armando Spataro.

Dopo lo spettacolo teatrale ‘Padroni delle nostre vite’ sulla vita di Pino Masciari, della compagnia Sciarra progetti, che ha portato nell’auditorium calolziese ben 600 persone di cui 400 studenti dell’Istituto Superiore ‘Lorenzo Rota’ di Calolzio, prosegue infatti con un largo seguito il percorso Vivere in Legalità” organizzato dall’Associazione giovanile ‘LiberaMente’ di Calolziocorte.

Alberto Nobili,IMG_4205 da 35 anni pubblico ministero, dal ‘93 al ‘99 sotto la scorta di sei ‘angeli’, come li ha definiti, per le minacce del boss Antonio Papalia che ordinava di ucciderlo (bersaglio ‘facile’ perché portavo a scuola la bambina in bicicletta tutti i giorni alla stessa ora), ha esordito affermando: «E’ un segnale importante avere la sala piena: significa che in tanti hanno capito che il contrasto con la mafia non può essere vinto solo per via militare, demandano la soluzione in toto alle forze dell’ordine» e ha proseguito «Vorrei davvero che questa potesse essere una serata di tipo ‘storico’: ma è presto per parlare di un’ Italia senza mafia. Proprio a Calolzio pochi mesi fa ci sono stati 20 importanti arresti in una ‘locale’, in un ramo della ‘ndrangheta. Ed è in questo paese, che sembra un’isola felice, che già alla metà anni ’70 si era formato uno dei primi nuclei della ‘ndrangheta in Lombardia».

Così è cominciato un viaggio nella storia della mafia nei nostri territori: dagli anni ’70, l’epoca dei sequestri. Se ne contano fino a trentatré in un anno: le vittime, rapite e portate in Calabria, sono tenute legate con una catena al collo nelle grotte, prigioniere fino a due anni, come è successo a un diciottenne di Pavia, o fino alla morte, come nel caso di una ventina di persone. Questa sistematicità è sintomo evidente di un’organizzazione criminale di un certo livello, eppure non si pensa alla mafia: «E’ “roba da terroni”, non ci riguarda: un errore che ancora stiamo pagando» ha confermato Nobili. E’ il prezzo della disinformazione, dell’ignoranza e del pregiudizio culturale: non si crea così una coscienza collettiva verso mafia e corruzione.

«I mafiosi fanno cose bestiali, ma non sono bestie, sono persone per le quali la vita umana non conta niente se paragonata al dio denaro» ha continuato il procuratore, racccontando come così si passi a traffici più redditizi, quelli della droga, che segnano gli anni ’80. ll mafioso infatti si trasforma in imprenditore e investe i soldi che guadagna, circondandosi  di gente esperta di finanza.

IMG_4210Un viaggio non solo nel tempo, ma anche nello spazio, su e giù per la penisola: «E’ vero che storicamente la mafia nasce al sud, ed è vero che là ci sono ancora zone dove la mafia domina: ne sono esempi recenti l’episodio dell’ inchino della Madonna davanti alla casa del boss, o il lutto al braccio della squadra del San Luca quando morì il mafioso Antonio Pelle.» ha ricordato Nobili, ma è l’episodio del tema di una seconda media di Scampia su “Cos’è la mafia” che, secondo lui, spiega al meglio il ruolo dell’organizzazione criminale in questi territori: «I ragazzini hanno scritto che la mafia “dava lavoro” ai loro padri e “proteggeva” le loro famiglie. Si era insomma sostituita allo Stato civile.» O meglio quest’ultimo non è in grado di sostituirsi a lei: la popolazione si affida alla mafia e contrasta lo Stato che la combatte, dove lo Stato è assente la mafia trova infatti terreno fertile per il consenso. «I mafiosi sono persone intelligenti che sanno come farsi benvolere, che ti aiutano anche, ma ad un caro prezzo: l’obbedienza incondizionata e il rispetto delle regole da loro dettate attraverso un sistema di clientelismo.» Zone in cui la mafia è talmente presente che si respira un’ ‘aria di mafia’, tradotta in un controllo territoriale completo.

IMG_4217Gli affari però si fanno al nord dove l’aria, almeno in apparenza è ‘pulita’: «E’ stato arrestato poco tempo fa un assessore regionale per i voti comprati dalla ‘ndrangheta, non è mica successo in Calabria, ma alla in Regione Lombardia. Quest’ultima è la terza in Italia per società e beni  sequestrai alla mafia, qui si fanno i soldi: basta pensare alla torta di Expo, quante ditte di provenienza mafiosa ne hanno voluta una fetta?» Anzi, proprio l’assenza dell’ aria di mafia, l’indifferenza collettiva, costituisce, paradossalmente, la forza della mafia nei nostri territori: non a caso la ‘ndrangheta si è stabilita in piccoli centri di periferia, lontano dai riflettori e dal frastuono del capoluogo di regione. «Un silenzio solo apparente, perché quando nel ’93- ’94 arrestammo 2500 persone a Lecco, nell’operazione Wall Street, fummo preoccupati dal fatto che coloro che ci vennero a ringraziare sapevano tutto di quello che stava succedendo, già da prima. Quel ringraziamento a posteriori suonò davvero come una beffa».

Un problema ancora attualissimo: Nobili ha spiegato infatti che, quelli che stanno arrestando oggi, sono ormai i nipoti dei primi indagati. Con la crisi di questi anni poi, il fenomeno è dilagato: «Il mafioso è generosissimo con chi è in difficoltà, ma non solo compra la tua ditta o società, ma tutta la tua vita e libertà. Quando i mafiosi hanno capito che fare stragi era controproducente perché provocava una reazione nello Stato e nella gente, hanno cominciato ad adottare profili bassi, così hanno ottenuto consensi, non più paura ma ammirazione, anche al nord.»

IMG_4202Insomma sembrava quasi scomparsa, invece la mafia è più forte di prima, si trova ai piani alti e va a braccetto con la corruzione: «Corruzione e mafia, nell’agenda del politico appaiono raramente: extracomunitari, rom, zingari, spacciatori, questi sono i ‘temi’ caldi. Non sarà un campo rom a far traballare la nostra società, ma il pericolo dell’arrivo agli alti livelli di queste persone. Non ci stiamo a piegare la testa di fronte a chi con l’intimidazione vuole governarci.» ha affermato con forza il magistrato.

Qual è allora la soluzione? Sicuramente non il carcere: « Il mafioso, come malavitoso, mette in conto la detenzione: anzi qualche sano anno di carcere fa bene alla reputazione, specialmente se non si collabora. Tanto, nel frattempo, la famiglia è mantenuta dai compagni. Ai mafiosi fa male la confisca dei beni perchè così gli togli il prestigio. Tali beni devono essere poi restituiti per scopi sociali, e questo compete alle istituzioni, ma il secondo compito, nel quale tutti portiamo partecipare, è la cultura: ossia la dignità e l’orgoglio, il rispetto delle regole del vivere civile, l’informazione e il culto della legalità. Ai mafiosi fa più paura una ‘scuola’ che una ‘caserma’. Il mafioso la fa da padrone nelle zone in cui predomina indifferenza e ignoranza, mentre trova difficoltà là dove è forte lo spirito di appartenenza.» E’ importante dunque non delegare: la partecipazione di tutti è l’unico modo di sconfiggere la mafia. Non improvvisarsi dunque poliziotti, ma denunciare. La solitudine spaventa coloro che denunciano, l’essere lasciati soli da Stato e dalla società: l’indifferenza è un regalo che facciamo allo mafia.

IMG_4203Infine Alberto Nobili ha avuto parole di affetto per le forze di polizia, tra le migliori al mondo nonostante la scarsità di mezzi con cui devono rapportarsi, per i giovani che devono vivere, senza colpa, in un mondo non a misura di uomo civile, e per la Costituzione e la Storia italiana: «Abbiamo articoli e leggi bellissime: “Ogni cittadino ha il dovere, non la scelta, di contribuire secondo le proprie possibilità allo sviluppo materiale e morale del paese”, per esempio, apre la Costituzione. Eppure non abbiamo la forza di far rispettare quanto enunciato: noi magistrati abbiamo scioperato per la difficoltà che abbiamo nel fare applicare la legge.»

Parole durissime infatti per il sistema burocratico della Giustizia: «Non abbiamo personale amministrativo e siamo subissati di processi: è ovvio che ci dedichiamo ai più importanti. Ma così, ingiustamente, rimangono per ultimi i cittadini che hanno subito piccole truffe e danni di minor portata. I processi mediamente durano 6 – 8 anni e non c’è certezza della pena: è una vergogna, che ci penalizza anche in termini di investimenti. Quali sono le garanzie per un onesto imprenditore che voglia puntare sul nostro sud, così potenzialmente ricco? Il nostro Paese dovrebbe essere alla guida del mondo per il suo patrimonio culturale e artistico e invece ci dobbiamo vergognare perché siamo l’unico paese avanzato che ha questi problemi ancora oggi.»

Una serata che però è stata chiusa nel segno dell’ottimismo: « Se non credessi che è possibile vincere il contrasto con la mafia non farei questi incontri. Vedere tante persone interessate rinnova ogni volta la mia speranza.»

L’ultima tappa del percorso ‘Vivere in Legalità’ sarà il 27 Febbraio presso l’oratorio di Sala di Calolzio con Nando Dalla Chiesa, Vice presidente di Libera e da sempre a fianco delle istituzioni nella lotta alla mafia.

Chiara Vassena