Ne abbiamo a lungo parlato, durante lo scorso anno. Ora i dati ci danno ragione: demonizzare senza se e senza ma il diesel non è stata una buona idea. In attesa di fonti di energia più pulite, i veicoli a benzina non sono la soluzione a ogni male. Se infatti per quanto riguarda i parametri di polveri sottili e NOx siamo ampiamente in regola con i limiti posti dall’Ue, con la CO2 rischiamo di sfondare il tetto. La colpa? In questi primi mesi del 2019 sono state immatricolate parecchie più vetture a benzina a discapito di quelle a gasolio.
Bisogna uscire dalla vecchia logica secondo cui il diesel è un carburante sporco e nemico dell’ambiente: certo, non è l’idrogeno, ma pare che in pochi riescano ad accettare che una nuova auto “Euro 6” emetteil 95% in meno di NOx rispetto a una “Euro 0” e il 96% in meno di PM rispetto a un veicolo “Euro 1”. Stessi progressi sono stati compiuti nel trasporto pesante, dove un motore “Euro VI” presenta emissioni 8 volte inferiori rispetto a uno omologato “Euro III”. Nei primi due mesi del 2019, inoltre, a un calo della quota di vetture diesel immatricolate, è corrisposto un aumento complessivo della CO2 media delle nuove auto vendute.
È quanto emerge dal report coordinato da Aniasa – associazione nazionale industria dell’autonoleggio e servizi automobilistici – che analizza i primi dati dell’anno e che intende, dati alla mano, fare chiarezza sul tema motorizzazioni ed emissioni climalteranti e inquinanti, e sfatare demagogie e pregiudizi nei confronti del diesel, sempre più spesso additato come la principale fonte dell’inquinamento urbano e delle emissioni climalteranti (GHG) con argomentazioni spesso non corrette che influenzano il dibattito pubblico e, in diversi casi, le scelte politiche in materia di mobilità che tendono ad allontanare il raggiungimento degli obiettivi ambientali.
Punto di partenza dell’analisi firmata anche da Unione Petrolifera è la considerazione che il parco auto italiano è tra i più vetusti a livello europeo e ciò incide fortemente sui livelli emissivi: oltre la metà del circolante ha un’età superiore ai 10 anni, rispetto al 36-39% di Paesi come Francia, Germania o Regno Unito.
Eliminare le alimentazioni diesel serve a migliorare la qualità dell’aria? A questa domanda l’analisi fornisce una risposta duplice: sì, per quanto riguarda le vecchie alimentazioni; no, per quelle di nuova generazione. Queste ultime (diesel Euro 6D) sono in grado di rispettare ampiamente i sempre più stringenti limiti sugli NOx. I risultati di prove condotte a febbraio 2019 mostrano per alcuni modelli addirittura zero emissioni di NOx. Lo stesso si può dire per il particolato allo scarico i cui valori sono trascurabili e di molte volte inferiori a quelli non allo scarico (le cosiddette “emissioni non esauste”) che saranno prevalenti e valgono per tutte le alimentazioni.
Un’auto Euro 6 produce 100 grammi di PM ogni circa 20.000 km, quanto un impianto a biomassa (pellet) di nuove generazione emette in solo 32 ore. Stessi progressi sono stati compiuti nel trasporto pesante dove un camion “Euro VI” ha emissioni 8 volte inferiori rispetto a un “Euro III”. Negli ultimi 25 anni si è registrata, in questo campo, una drastica riduzione delle emissioni inquinanti con un abbattimento del 95% per gli NOx e del 97% per i PM.
Grazie alla loro efficienza, i motori diesel presentano emissioni di CO2 più contenute di un motore a benzina. A testimonianza di questa efficienza, nei primi due mesi del 2019, a un calo della quota di auto diesel immatricolate (passate dal 55,8% al 43,2% del totale) è corrisposto un aumento della CO2 media (da 112,8 a 121,5 g/km) delle nuove auto immatricolate. L’utilizzo del diesel, che peraltro vede l’industria italiana da sempre all’avanguardia, è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 previsti per il 2030. Con il solo ricambio del parco auto con modelli più efficienti, senza escludere alcuna alimentazione, si otterrebbe infatti una riduzione della CO2 del 37%, oltre gli impegni assunti in sede europea.
Alessandro Tonini
atonini@iperg.net