CALOLZIOCORTE – A parlare dal vivo e da protagonista di quello che in queste settimane abbiamo letto sugli organi di stampa è stato ieri sera, lunedì 28 agosto, Riccardo Gatti, marinaio della Ong spagnola Proactiva open arms che dal 2015 lavora per salvare vite nel Mediterraneo. Gatti, allo Spazio condiviso di piazza Regazzoni, ha raccontato cosa è cambiato rispetto a qualche mese fa, quando era stato a Lecco a raccontare della sua esperienza e l’unico tema all’orizzonte era la campagna contro le Ong.
“Negli ultimi mesi è proseguita la dinamica dell’attacco alle Ong ed è accresciuto il razzismo. Le forze in campo che non vogliono l’arrivo di ‘negri’ in Europa hanno accresciuto la loro pressione e la loro violenza. Noi non abbiamo avuto problemi fino ad adesso, ma negli ultimi tre anni si è aumentato il nervosismo in mare: spari, tentativi di sequestro e violenza da un lato, dall’altro lato è venuto meno l’appoggio delle istituzioni alle Ong” spiega Gatti.
Uno dei nodi, che nei primi giorni di agosto sembrava assolutamente cruciale, era il codice di condotta che le Ong sono state invitate a firmare per poter continuare a svolgere la loro attività, “voi avete firmato? Perché?” chiede il moderatore della serata Duccio Facchini (Qui Lecco libera, promotrice dell’iniziativa con Spazio condiviso e Altra via). “Nel codice di condotta sono state messe nero su bianco delle regole che abbiamo sempre rispettato – continua il marinaio – c’erano dei punti un po’ critici come la questione dei poliziotti a bordo e l’obbligo a sottostare all’autorità della Guardia costiera libica, ma non c’è un governo libico. C’è la Guardia costiera di Tripoli, c’è il governo di al-Sarraj, che prendono soldi dalle istituzioni europee per non far partire le persone. L’Italia si era assunta l’onere di fare i salvataggi in mare in quella zona perché la Libia non era in grado di farlo e questa cosa non può cambiare da un giorno all’altro. Il codice di condotta in ogni caso non supera le leggi internazionali che impongono di portare un naufrago nel porto più vicino e più sicuro. Noi lo abbiamo firmato perché volenti o nolenti dobbiamo collaborare con le autorità italiane, per essere lì a salvare queste persone dovevamo firmare”.
Dopo la sottoscrizione di questo accordo, pochi giorni fa, Proactiva ha avuto degli incontri infelici con la Guardia costiera libica. “Quando hanno visto i nostri gommoni hanno sparato dei colpi di mitraglia, poi si sono accorti che eravamo noi e si sono scusati, hanno preso a bordo le 26 persone che avevamo salvato, le hanno menate e derubate e ci hanno chiesto di riprenderle; la Guardia costiera italiana ci ha detto di no, ne abbiamo prese solo undici per motivi di salute, gli altri non sappiamo che fine abbiano fatto. Un’altra volta, eravamo in acque internazionali, sono venuti a chiederci se avevamo l’autorità per essere lì e ci hanno detto che se non li avessimo seguiti a Tripoli ci avrebbero sparato. Abbiamo chiamato Roma e le forze di Eunevafor Med, che tra i loro compiti hanno quello di addestrare la Guardia costiera libica. Abbiamo iniziato a prendere tempo per non superare il limite delle 24 miglia, fino a quando ci hanno detto ‘o vi girate verso nord o vi ammazziamo’ e ci hanno intimato di non tornare più”.
Altra questione recente è quella della imbarcazione di Defend europe, un’associazione del movimento identitario che si è data il compito di fermare gli sbarchi e sabotare le Ong, “voi ci avete avuto a che fare?” chiede Facchini. “Defend Europe ha iniziato ad avvicinarci e mandarci degli attacchi via radio, il giorno del sequestro si sono avvicinati e hanno fatto un paio di manovre stupide, pensavamo che stessero cercando di sabotare i nostri gommoni, invece hanno solo attaccato un adesivo. Sono incapaci e si rendono patetici: vanno in mare senza nessun mandato, a far rispettare leggi che nessuno ha scritto. Quando siamo stati sequestrati dai libici, poi allontanandoci abbiamo visto che erano seguiti da Defend europe. In questi mesi c’è stata una dura campagna contro le Ong, però è solo contro le Ong antifasciste e democratiche?”.
A proposito di Ong antifasciste e democratiche, emblematico è il caso di Juventa: “È una piccola Ong creata da un ragazzo tedesco tramite crowdfunding, loro hanno un profilo che dà fastidio all’autorità perché si presentano un po’ alternativi, un po’ punk. Non hanno firmato il codice e sono stati bloccati. Sono il capro espiatorio: danno fastidio, sono piccole e dal punto di vista economico non potranno permettersi molta lotta. I barchini attorno alle navi – che secondo le accuse rivolta all’associazione sarebbero trafficanti loro “complici” – ci sono sempre, sono pescatori che cercano di accattare qualcosa. La campagna che ci è stata costruita attorno mi sembra pretestuosa: le tre indagini partite finora non hanno portato a nulla, se non alla riduzione delle navi che lavorano nel Mediterraneo da dodici a quattro: Proactiva, Moas, Save the children e Aquarius”.
Com’è noto Proactiva gode di un grande supporto da parte della società civile, basti pensare che solo tramite donazioni private lo scorso anno ha avuto oltre due milioni di euro di donazioni (la nave Golfo azzurro costa circa 4mila euro al giorno, la Open arms 7mila, una giacca di quelle invernali costa circa 400 euro, la spesa per l’equipaggio e le persone salvate che si fa ogni 15 giorni costa tra i due e i tre mila euro). “Il clima in Italia è differente da quello della Spagna, cosa si può fare?” chiede il giornalista. “L’idea che le Ong siano corrotte, che l’Italia stia vivendo un’invasione si stanno diffondendo e radicando. Molte volte le informazioni non arrivano e si raccontano cose non vere, non è un punto di vista o una lettura dei fatti: c’è la realtà e quello che presentano. Si parla di migranti economici, di persone che non avrebbero il diritto di venire in Europa, ma in Libia le persone ci rimangono degli anni, sottoposti a torture, stupri, uccisioni. Bisogna organizzarsi e lottare per far rispettare i diritti umani, non possiamo pensare di pagare delle milizie che sparino a persone solo perché vogliono scappare”.
Manuela Valsecchi