Che bello vedere tanti giovani colorati ed allegri sfilare in nome dei “D(i)ritti in Piazza”!
Secondo quanto riportato dai media locali non che mancassero gli adulti ma nella multicolore sarabanda dei mille partecipanti (qualcuno ha scritto duemila) è indubbio che la stragrande maggioranza fosse composta da giovani che giustamente hanno rivendicato parità di diritti per tutti.
Altri slogan, come “Ponti e non muri” descrivevano bene l’anelito solidaristico e antidiscriminatorio posto significativamente alla base della manifestazione. Non so poi se ci siano state cartelli o “ostentazioni” di dubbio gusto che alcuni omosessuali stessi ritengono fuorvianti ai fini di una corretta comprensione delle loro condivisibili istanze.
Tutto bene quindi, se nel contempo non mi affiorasse dal di dentro una perplessità venata da una sottile tristezza.
Difficile definirla senza rischiare di essere fraintesi e tacciati quantomeno di arretratezza culturale rispetto ai tempi che viviamo ma il conformismo di facciata e l’omologazione culturale ai costumi che vanno per la maggiore non sono mai stato il mio forte.
Certo è apprezzabilissimo quanto questi giovani manifestanti vorrebbero trasmettere non solo con questo tipo di parate e cioè la doverosa opposizione alla grave ingiustizia discriminatoria, e relativi atti coercitivi, a motivo dell’orientamento sessuale. Su quest’ultimo ognuno può avere il proprio legittimo e magari opposto punto di vista ma il tutto non può mai essere alibi per comportamenti variamente vessatori in chi ha opinioni diverse.
Ma da dove nasce la venatura di tristezza: nasce dalla percezione che altrettanta passione egualitaria espressa per i diritti civili non sembrerebbe apparentemente caratterizzare l’impegno, in particolare dei giovani, rispetto ai diritti sociali.
Perché battaglie contro l’aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche a tutti livelli, da quelli locali a quelli planetari, da quelli nazionali a quelli nord/sud del mondo, e per promuovere una maggior consapevolezza sulle storture di questo modello di sviluppo non trovano normalmente altrettanto eco e contrasto partecipativo? E così pure sulle palesi ingiustizie perpetrate in nome di un Mercato assolutizzato e delle sue leggi di fatto divinizzate secondo quello che viene giustamente definito “pensiero unico”?
Possibile poi che chi rischia di “lisciare” l’onda emotiva del Pride non cerchi, nei discorsi d’appoggio di richiamare ai giovani non solo i loro, come quelli di tutti, sacrosanti diritti ma anche i rispettivi doveri?
Perché nei giovani sembra prevalere la rassegnazione ad un mondo che spesso gira al contrario?
Perché questa cultura dominante basata su individualismo e profitto non produce in loro, nella gran parte dei casi, una opposizione?
Richiamo a titolo esemplificativo quanto già evidenziavo in un mio precedente scritto:
“I frutti malefici di questo cosiddetto “modello di sviluppo” sono sotto gli occhi di tutti e, solo per considerarne alcuni dei maggiori, come non citare la precarietà dilagante, l’aumento delle diseguaglianze, la questione ambientale, “la dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano”(per dirla come Papa Francesco), la predominanza di una finanza che privilegia far soldi coi soldi e non con il lavoro, il Mercato da strumento a fine subordinando la democrazia e i Popoli agli interessi di una élite sempre più ristretta.
E così pure la corruzione diffusa e le mafie combattute realmente da pochi e spesso isolati “servitori dello Stato, una politica che da servizio alla Collettività è spesso ridotta ad una pura convenienza per la propria parte e strumento per “far carriera”, come recitava una mai dimenticata canzone dei Nomadi dai contenuti più che mai attuali. E quant’altro … a partire da una riapparsa ri-legittimazione, in varie forme, della guerra come strumento per dirimere questioni che pure presentano aggressori ed aggrediti”.
Non che la mia generazione sia scevra da responsabilità e spesso non abbia saputo ne voluto fornire esempi di critica significativa e modelli credibili di vita coerente alternativa e non è che non ci siano giovani sensibilissimi alle grandi questioni politiche (quelle con la P maiuscola) ma è proprio dal giovani, che sono le prime vittime di questo sistema, che dovrebbero venire azioni di cambiamento. Come è altrettanto certo che quell’atteggiamento di avere nella vita la “schiena dritta” (“dritti o ritti” evocato in modo originale dal titolo stesso della manifestazione “D(i)ritti in Piazza”) non possa venire solo da loro.
Germano Bosisio