LA RECENSIONE: “SECOLI BUI”,
TRA BRERA E BALLABIO UN LIBRO PIENO DI INTERROGATIVI

coverLECCO – Da Lissone a Ballabio, da Monza a Brera. Conosco Pierre Bonaretti, giovane artista, da qualche anno ormai. Con lui ho condiviso la passione per l’arte, per la letteratura, gli studi accademici a Brera. Ho avuto il piacere di essere curatore di una sua personale a Ballabio due anni fa. Ho letto nei suoi occhi l’incanto, l’irrequietezza, la paura del domani. Poi l’ho portato sulle mie montagne a parlare di pittura, di fieno e di Segantini. Ormai la nostra amicizia è l’opera che stiamo creando insieme. Ora scriviamo entrambi, recitiamo assieme, e questo vuole essere un omaggio al ragazzo di Lissone, cresciuto tra le vie monzesi e che dopo aver scoperto i suoi talenti è arrivato a Brera, fiero del suo passato, persino degli errori. Ecco perché nella sua genialità è semplice, umile e stupisce sempre per quella sua innata ironia che conquista tutti.

“C’era un silenzio assoluto. I passi dei frati rimbombavano all’interno del grande spazio oscuro, suddiviso in tre navate da colonne spesse come dieci uomini che sorreggevano volte a botte”.

E’ il medioevo di “Secoli Bui”. Un libro che non subisce una storia costretta a rimanere chiusa tra una copertina e un’appendice ma che ha tutta l’aria del cammino continuo. Interrogativi, ascolto dell’ambiente, romanticismo e storicismo uniti a narrare la realtà romana , che fu (ed è) incanto tanto quanto crudezza. E al tempo in cui Bonaretti ci porta, solo la sopravvivenza e il sole dettavano legge. La legge dell’uomo veniva molto dopo. Odori di terra, sangue, ma anche di foreste, spago, denari di metallo, e una pergamena da tradurre. Dobbiamo pensare a un ambiente profondamente diverso dal nostro, eppure quei colli romani e la capitale imperiale erano pur sempre dove sono oggi. Ad animarle dei giovani briganti, protagonisti della vicenda.  Non occorre tanto la fantasia quanto l’attenzione. In fondo per immaginarsi realmente le situazioni basterebbe informarsi sulle storie del tempo. Strade polverose, sere miti, granai abbandonati ma che l’autore non fa morire, in cornice a sfide, spade pronte a vibrare ma sempre a differenziare la malvagità dei barbari e la lotta per l’onestà o i diritti delle famiglie. Poi dall’architettura del rapimento di Elsa Bellini, signora di Roma, attorno al quale ruota la storia, a quella degli edifici, che si costruiscono nell’immaginario del lettore con la stessa cura con cui Bonaretti ce li dona, ma subito dopo contrappone al forte il delicato, il sensuale, nelle descrizioni che amabilmente compone sulle donne di questo libro. E gli odori. Un giovane autore che evidenzia gli stadi della vita accompagnati da un’imprimente linguaggio sensoriale :

“(…) La strada era deserta, il sorgere del sole ancora lontano. La luce della luna illuminava i ciottoli e i fili d’erba che crescevano tra un mattone e l’altro.

Nelle case, le candele erano spente, regnava il silenzio. La via era stretta e finiva sul retro del battistero di Santo Stefano, che sorgeva di fianco alla piccola cappella.

Il battistero era una costruzione a pianta esagonale di modeste dimensioni, rivestita con lastre di marmo bianco. Ad ogni facciata corrispondeva un’entrata ad arco a tutto sesto, serrata da spessi portoni in legno. La chiesetta sorgeva di fianco al battistero e aveva l’ingresso sulla via principale, più larga, lungo la quale si trovavano botteghe di artigiani e commercianti. Durante il giorno era un punto saliente del commercio romano. I bottegai lavoravano l’oro, l’argento o le stoffe e i commessi entravano a ritirare gli ordini, che mettevano accuratamente in grandi borse di pelle, o in sacchi di iuta legati con la corda. (…)”

Le vicende si ingarbugliano in una studiatissima ragnatela di eventi in successione e correlati tra loro, i personaggi non si fanno scoprire in un capitolo per poi sparire ma gestiscono il tempo dell’intero romanzo come un vento che ci porta e riporta tra gli alberi di uno stesso bosco, e non mancano battaglie perfettamente descritte in ogni sfumatura strategica e tecnica, colpi di scena, un brigante si scopre frate dopo anni.

“(…) Tutti avevano a cuore il destino del libro ma il sentore era che non tutti lo facessero per preservare il destino di Roma.

Il libro faceva gola a molti potenti, l’imperatore Federico in primis. Chiunque fosse riuscito ad accaparrarselo avrebbe potuto dettare le regole a suo piacimento, tenendo in scacco un’intera città e i suoi territori. (…)”.

Sul finire una battaglia, strida di frecce, l’adrenalina, forse un po’ di paura. E la morte, che non provoca le bruciature dell’inferno ma un gelido vuoto. Infine la terra, elemento iniziale e finale di un romanzo che tiene il fiato fino alla fine, che stimola la memoria, l’immaginazione ma anche la sensorialità e l’intelletto. Sotto di essa, in una fossa, finiranno i segreti tanto abiti dei “Secoli bui”. Il come è tutto la leggere.

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Michele Casadio