LA GIORNATA MONDIALE
DELLA COMMEDIA DELL’ARTE.
SBALORDIRE PER PROFESSIONE

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LECCO – Mancano poche ore all’apertura dei festeggiamenti per la giornata Mondiale della Commedia dell’Arte, distribuiti a livello internazionale ma col cuore pulsante a Padova. Il nostro territorio ne sembra estraneo e quindi ci auguriamo che anche la teatralità lecchese prima o poi ne prenda parte.

Impossibile dire “commedia dell’arte” senza nominare il “carnevale”, per altro appena trascorso. Sono i tempi lontani del medioevo quando a ridosso del carnevale prendevano vita nei borghi degli enormi fantocci di legno e drappi colorati, a rappresentare un generico “Re Carnevale”. Al grande pupazzo sito in una piazza venivano date tutte le colpe dei problemi sociali, delle divergenze, delle situazioni scomode, e i paesi, di un’Italia che non era ancora tale, si mascheravano deridendo quanti fossero causa di diseguaglianze, incorporandone con satira e travestimenti i tratti tipici.

Arrivava poi il “martedì delle ceneri”, quando al fantoccio responsabile di tutti i dolori, veniva dato fuoco. E come scriveva a tal proposito Massimo Cacciari, è qui il cuore della “Commedia dell’Arte”. Narrata tutt’oggi dall’attore e docente Carlo Boso, figlio indiscusso e amante di questa corrente, la Commedia dell’Arte storicamente nasce a Padova il 25 febbraio 1545, quando un generoso gruppo di interpreti e capocomici decidono di fare del loro girovagare teatrante un “mestiere riconosciuto” presso la Congregazione delle Arti e dei Mestieri. Inutile dire che la loro attività sul territorio italiano era già viva da molto tempo e apprezzata dal numeroso pubblico popolare (ovviamente analfabeta).

Parallelamente a questo fare teatro per le piazze, in occasione di patroni e festività, per fiere, mercati e porti, c’era il “teatro colto”, non dimentichiamolo, quello dei grandi Tasso, Machiavelli,…. ma che prendeva vita per un ristrettissimo pubblico di corte e nobile, dove il testo era controllato parola per parola, per evitare incidenti diplomatici. La Commedia dell’Arte è altra cosa. Strutturata sulla “smorfia”, sui gesti, sulle maschere e tenuta a galla da canovacci spesso flebili tematicamente, gioca tutto il suo potere comunicativo sull’intrattenimento, sull’annientamento dei pensieri per la sua capacità di sbalordire ed incantare.

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L’effetto era benefico ma la preparazione complicatissima. Gli attori dovevano saper gestire più tecniche contemporaneamente, dal mimo alla giocolieria, dalla magia alla scherma, e ognuno di loro interpretava un personaggio “tipo” per tutta la sua carriera, facendo di quella particolare maschera, la sua seconda vita. L’apprendistato durava almeno sette anni e bisognava saper scrivere. I girovaghi accontentavano tutti, proprio perché imitavano tutti, anche per riscuotere in ogni città, il maggior consenso possibile. Non ci doveva essere offesa per nessuno, ma tutti presi in giro allo stesso modo.

Un complicatissimo gioco di equilibri tecnici e diplomatici. Lo spazio alle battute è praticamente assente, ma questo per un ovvio motivo di comprensione. La lingua italiana era lontana ancora nella storia e solo dal veneto al milanese farsi capire era pressoché impossibile. A parlare era la gestualità. Poi l’amore, che il teatro difende sempre a spada tratta, è sempre presente sulla scena teatrale popolare, dell’arte e colta. Si combatte con la filosofia dei matrimoni combinati, tematica che avranno a cuore più avanti sia Moliere che Goldoni.

Poi arriverà l’editto di Napoleone, che prevedeva il controllo assoluto sulle battute degli attori. E’ qui che si avverte un tramonto storico della Commedia dell’Arte, tramutata in nuovi generi temporanei per sopravvivere (teatri dei burattini in Italia e di mimo in Francia).

Le avanguardie del novecento diventano il nuovo nido di rinascita della commedia itinerante, presa come scuola di avviamento al mestiere dell’attore da molti maestri illustri che ne fecero momento importantissimo della loro carriera, pensiamo a Stanislavskij, Mejerhold, Rainer (il primo a portare in America l'”Arlecchino servitore di due padroni” il testo di Carlo Goldoni che segna il suo divenire commediografo ma da figlio della commedia dell’arte), e in Italia a Poli, Moretti, Strehler, Soleri e Boso (che oggi insegna in Francia).

carlo bosoLa Commedia dell’Arte abbatte le barriere tra spettatore e interprete, sopravvive anche nei periodi di guerra, nelle menti e nei corpi di chi ne ha fatto la propria scelta artistica, senza mai cadere nel dimenticatoio e tuttora apprezzata laddove proposta. E’ infatti Giorgio Strehler a recuperarla nel dopoguerra in Italia e a trasformarla in scuola di teatro al Piccolo di Milano. Poi c’è Dario Fò, caso unico e difficilmente collocabile, con quel suo grammelot che diverte tanto ma che in fondo in fondo, era quello che poteva sembrare un qualsiasi dialetto di una compagnia di girovaghi che giungevano in una città lontana. Suoni, foni,onomatopee, prive di significato logico ma ricche di espressività, a volte intonate in canti improvvisati per aggirare la censura, a volte propositamente storpiate.

Era ed è un teatro basato sull’emigrazione della cultura, sullo scambio volontario, sull’interpretazione di tutto quello che accomuna tutti i popoli, figlio del viaggiare, dello scoprire gli intimi lati simili di tutti gli uomini. La “Giornata Mondiale della Commedia dell’Arte” è un’iniziativa caldeggiata da Carlo Boso che ne fece il padrino a Bologna nella prima edizione del 2010.

Michele Casadio