CALOLZIOCORTE – “Uno stile di vita semplice, la volontà di condividere, la preghiera nel quotidiano, l’impegno in parrocchia, la gioia nelle relazioni, la volontà di fare scelte impegnative anche se costano fatica, uno sguardo carico di speranza, la bellezza di ogni incontro nella sua imperfezione umana, il fatto che alcune cose nella vita le puoi scegliere e altre puoi solo accoglierle”: è così che Monica Maggioni racconta il mese speso in Guinea Bissau.
A portarla nel 2016 a Suzana è stato il Pime. Il Pontificio Istituto Missioni Estere infatti propone ai giovani tra i 20 e 30 anni l’esperienza della missione attraverso un percorso della durata di due anni.
“Il primo anno è improntato alla conoscenza di sé – spiega Monica – Questo è fondamentale per vivere bene anche il mese di missione. Se non so da dove vengo, non so dove vado!”. In estate, la partenza: “La cosa più bella e insieme più faticosa di questo cammino è che non sei tu a scegliere né dove né con chi andare. Mi sono ritrovata in Guinea Bissau, con altri tre compagni di viaggio che conoscevo appena”. È quindi un cammino che chiede una disponibilità totale. E l’esperienza non si chiude con il rientro in Italia, perché il secondo anno è tutto dedicato a rielaborare l’esperienza della missione, perché possa tradursi in scelte e responsabilità personali.
La scoperta più inaspettata? “Parti con la convinzione che la missione abbia bisogno di te ma in Guinea ho scoperto di essere io ad aver bisogno della missione”. Il mese a Suzana infatti non è stato un tempo del fare ma piuttosto dello stare: “Stavamo con la gente e con le suore e i padri missionari, ma non avevamo un vero e proprio compito e questo spesso mi spiazzava”. Le attività pratiche proposte erano semplici: dal preparare i libretti per la messa al visitare alcuni villaggi la domenica e giocare con i bambini. A Suzana quindi Monica ha trovato innanzitutto uno spazio per riflettere, confrontarsi e pregare: “Per il momento della vita in cui ero, questo mese di vuoto materiale ma pieno spirituale penso sia stato un dono enorme”.
Al termine dei due anni di percorso, Monica fa sintesi: “Ho imparato molte cose nuove ma nello stesso tempo ho rinnovato con una maturità più profonda cose che già vivevo o che avevo intuito”. Così il tempo in Guinea Bissau non è rimasto guizzo estemporaneo ma è diventato cardine della quotidianità.
Ileana Noseda