LECCO – Sono andati in Ciad a salvare vite. Sono sbarcati in una struttura precaria, fatiscente, con sale operatorie misere e senza strumenti. Ma alcuni medici dell’ospedale Alessandro Manzoni di Lecco sono diventati eroi in quello spicchio di Africa Subsahariana. “Questa esperienza è nata quasi per caso in piazza Cermenati a Lecco, durante un incontro con suor Agostina Pozzi nell’estate 2012 – racconta Ivano Donato, medico del Pronto soccorso e organizzatore –. Brianzola di Cassago, da 40 anni vive e lavora in Ciad nella missione di Goundi, un villaggio situato nel sud del Paese. In quell’occasione mi raccontò di alcune difficoltà e della morte di alcuni buoi della scuola elementare agricola della missione. Morte drammatica poiché in quell’area l’agricoltura è fondamentale”.
Nella primavera dello scorso anno Giuseppina Imperio, anestesista, chiese proprio a Donato di aiutarla per un’esperienza di volontariato in Africa e lui la spinse a volare in Ciad per sostenere la popolazione locale, cosa che riuscì a fare tra ottobre e novembre all’ospedale del Buon samaritano di N’Djamena, una struttura che si occupa anche di formazione universitaria medica, infermieristica e ostetricia ma la cui situazione è ben diversa rispetto a quella italiana. “La sua scelta ha avvicinato altri colleghi – racconta Donato –, ovvero Giorgio Ponzini, chirurgo, Marco Riggio, anestesista, e Laura Pastorelli, infermiera, che hanno compiuto questa esperienza in queste prime settimane del 2015, collaborando con figure locali tra cui padre Angelo Gherardi”.
Per i professionisti lecchesi è stato come viaggiare indietro nel tempo. “La corrente non era sempre presente – racconta Ponzini -, ma solo per un determinato periodo di tempo perché era regolata da un generatore a gasolio. Nelle sale il materiale era minimo, ma l’organizzazione non mancava grazie all’aiuto di persone volenterose”. Uno dei problemi più grandi era fare accettare la medicina occidentale agli abitanti del posto. “Quando qualcuno aveva bisogno di cure serie si recava sempre dallo stregone del posto, dovevamo convincerli ad accettare le nostre cure”.
Riggio ricorda un episodio che ha del miracoloso. “Una ragazzina di 14 anni doveva essere rianimata e ci siamo riusciti solamente dopo ore, manualmente, proprio a causa della poca corrente a disposizione”. La situazione nel sud del Ciad è molto grave. “Ci sono parecchi bambini che hanno bisogno di assistenza perché malati di tumore. Per esempio cacciano le cavallette con il Ddt e poi le mangiano”. Una situazione drammatica. Ma che alcuni medici partiti da Lecco sono riusciti a migliorare.