LECCO – Quasi duecento bocche spalancate per lo stupore e altrettante paia di occhi sbarrati, hanno ammirato questa sera al Palladium l’ospite d’eccezione dei Gamma: lo statunitense Colin Haley. Ad accogliere sul palco lo straordinario arrampicatore, non c’era solo il presidente del gruppo alpinistico Giovanni Spada, ma anche due importanti volti dell’alpinismo italiano: “Mariolino” Conti ed Ermanno Salvaterra, che ben conoscono la passione di cui Coley questa sera ci ha parlato, la Patagonia.
Già perché il 32enne di Seattle tramite le sue parole e le sue fotografie non ha raccontato soltanto alcune delle grandi imprese che lo hanno portato ai vertici dell’alpinismo, ma ha raccontato la sua crescita e la sua evoluzione come sportivo e come persona, a cui la montagna, anzi una montagna in particolare, ha insegnato cosa voleva davvero nella vita.
Questa montagna è il Cerro Torre, dove lo scorso 31 gennaio Haley, assieme ad Alex Honnold, ha effettuato la prima ripetizione in giornata – in 20 ore e 40 minuti – della traversata delle quattro cime, concatenando le cime del Cerro Standhardt, Punta Herron, Torre Egger e Cerro Torre. Durante la sua brillante esposizione l’alpinista ha naturalmente raccontato al pubblico tutti gli espedienti tecnici utilizzati da questo speciale team per realizzare la straordinaria prestazione: “Io e Alex siamo due arrampicatori complementari e questo ci ha agevolati nel raggiungimento del nostro obiettivo. Io conosco meglio queste montagne e la mia esperienza ci ha aiutati negli avvicinamenti e negli spostamenti, inoltre ho più dimestichezza nella scalata su ghiaccio e quindi ho tirato tutti i tratti in cui la roccia era ghiacciata o ricoperta di neve. Alex invece è uno dei più forti arrampicatori su granito del mondo e la sua sicurezza e solidità ci ha permesso di scalare molti tiri in conserva, facendoci risparmiare molto tempo”.
Ma questo, come si diceva, non è solo un record che sarà difficile da battere, questo risultato è per Colin il raggiungimento di un sogno nato più di vent’anni fa nella testa di Ermanno Salvaterra, Andrea Sarchi, Maurizio Giarolli e Elio Orlandi, divenuto realtà per la prima volta, dopo quattro giorni di arrampicata, nel gennaio 2008 proprio grazie a Colin Haley e a quello che lui definisce uno dei suoi mentori, Rolando Garibotti. Da quel momento il geologo di Seattle è tornato ogni anno in Patagonia, aprendo nuove linee e ripetendo vie esistenti, spesso in solitaria, realizzando grandi imprese come la prima solitaria della Torre Egger e Punta Herron.
Ed è proprio in Patagonia che Colin ha compreso qual era la vita che voleva, quali erano i suoi obiettivi e sono state le rocce della Patagonia ad avergli aperto gli occhi “su ciò che si può arrivare a fare”. Ma l’ambizione non porta a niente senza il lavoro serio e la volontà di migliorarsi: “Quando ho iniziato a maturare l’obiettivo di scalare la traversata dei Torres in giornata, ho capito subito che mi sarei dovuto molto allenare non solo in montagna e sul ghiaccio dove già andavo forte, ma anche sulla roccia. Così ho cominciato ad andare in falesia, a fare boulder e a scalare sulle vie sportive. E dopo due anni ho incontrato Alex”.
Il team Haley/Honnold tenta così nel 2015 l’impresa della grande traversata, ma dopo 22 ore sono costretti a ritirarsi a soli due tiri sotto la cima del Cerro Torre per via del temutissimo vento della Patagonia. È servito un altro anno di lavoro, allenamento e pianificazione nei minimi dettagli per portare a casa questo risultato che sicuramente scriverà i loro nomi nella storia dell’alpinismo, ma che ha anche scritto “la storia di come ci siamo evoluti”.
Manuela Valsecchi