LECCO – Guardie sotto organico e carcerati in sovrannumero, assistente sociale in maternità, attività culturali, educative e sportive assenti. Non è un bel quadro quello del carcere di Pescarenico visitato dal deputato Daniele Farina con i candidati lecchesi di Liberi e uguali.
“L’incontro con la direttrice dell’istituto, supplente anche nel carcere di Monza, e la responsabile delle guardie è stato cordiale e aperto al dialogo – si legge nel rapporto -. È stato possibile visitare tutti i piani dell’istituto: lo spazio esterno, la sala per i colloqui, la biblioteca, le sale comuni di ogni piano, il luogo di culto, la cucina e le celle (di diverse dimensioni, possono ospitare da 2 a 6 persone). Al primo piano sono collocate le camere per i reclusi in attesa di giudizio e nei piani superiori quelle per i condannati in via definitiva sia pure per pene detentive non lunghe, da uno a cinque anni. Tutte le celle restano aperte per tutto il giorno e si affacciano su un corridoio comune
ampio e luminoso”.
Poi ci sono anche le note dolenti. La capienza regolamentare (53 detenuti) è ampiamente superata essendo presenti in media 70-75 detenuti. Uno dei problemi discussi ha riguardato il fatto che l’istituto soffre per un forte sottodimensionamento dell’organico degli agenti carcerari; infatti, negli ultimi anni si sono “persi” cinque dipendenti, che non sono stati sostituiti. La situazione è così emergenziale soprattutto nella parte della giornata dalle 16 alle 24 quando sono in servizio 3-4 guardie e diviene critica per esempio a fronte del ricovero in ospedale di un detenuto, per cui è necessario richiamare agenti da casa o da altre località di servizio. La carenza di organico rende difficile e a volte impossibile organizzare le attività culturali, educative e sportive proposte da associazioni di volontari.
Un altro problema è dato dal fatto che l’unica assistente sociale è in maternità e non è stata sostituita. Il presidio sanitario è presente con due operatori nelle ore diurne, dalle 8 alle 20 e anche questo costituisce un problema non superabile per le terapie serali per i numerosi tossicodipendenti. “Parlando con loro – raccontano Daniele Farina, Vanda Bono, Emanuele Manzoni e Corrado Conti – è emerso chiaramente come il carcere non costituisca affatto una soluzione per i reclusi e come l’unica alternativa valida agli effetti negativi della legge Fini-Giovanardi sia costituita dalle comunità di recupero. Preoccupa anche il fatto che negli ultimi anni sia diminuito il numero delle borse-lavoro, questo comunque in un discorso di positiva collaborazione con il territorio”.
Infine l’istituto soffre di una carenza di fondi: per esempio sono stati stanziati soltanto 1800 euro per la spesa annuale per le pulizie e per l’igiene personale; inoltre manca un gruppo elettrogeno per le emergenze; alcune parti vanno meglio messe in sicurezza. La percezione è che i problemi vengono di fatto tutti addossati al personale che supplisce con grande attenzione e sforzo alle carenze di investimenti e di organico, cercando, come hanno detto sia la direttrice che la responsabile delle guardie, di operare il più possibile prevenendo i problemi che si possono presentare.
“Se vale quanto scritto dall’illuminista Voltaire: ‘Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri’, l’Italia, con carceri che soffrono di un numero troppo alto di detenuti, agenti di custodia sotto il livello minimo, presidio sanitario inadeguato e che si appoggia alla buona volontà di chi lavora dentro le carceri, non ne esce bene” commenta il comitato provinciale di Leu al termine del sopralluogo. “Se il carcere deve servire a rieducare e a reinserire le persone attraverso percorsi di crescita e formazione, i problemi evidenziati rappresentano un grave ostacolo e rischiano di far divenire il carcere un’esperienza ancora più drammatica”.
“Un’ultima riflessione: occorre spezzare il clima culturale che si è venuto a costituire negli ultimi anni che vede la pena detentiva come la risposta ad ogni forma di devianza; di fatto le scelte normative compiute hanno fatto aumentare le pene medie inflitte anche per reati di scarsa rilevanza. Vi sono reati per i quali viene comminata una pena di 18 mesi, ad esempio il furto aggravato compiuto da un tossicodipendente: per una tale pena non vi è la possibilità di andare in misura alternativa al carcere, il tempo è troppo breve per l’iter previsto. Paradossalmente questa possibilità è presente per condanne più lunghe. Pertanto, sarebbe quindi meglio se si abolisse il carcere per questi reati minori sostituendolo con lavori di pubblica utilità e risarcimento del danno”.