LECCO – Si dice con ammirazione di qualcuno che “ha naso”, perché ha il fiuto degli affari o sa sfruttare l’occasione giusta. In letteratura spesso invece il naso è legato a situazioni di disagio: si pensi al naso misura-bugie di Pinocchio o al personaggio pirandelliano che davanti allo specchio, scrutandosi il naso, approda alla scoperta alienante di essere “uno, nessuno e centomila”. Senza confronti però è la “protuberanza, appendice, eccedenza, penisola, torre, monumento, puntello” di Cyrano de Bergerac, eroe dell’omonima commedia di Edmond Rostand (1897), che ha superato i confini del teatro, per mettere il suo naso, appunto, anche a cinema (Gérard Depardieu nel film di J.P.Rappeneau, 1990) e in musica (Francesco Guccini gli ha dedicato una splendida ballata, 1996).
Il naso di Cyrano è approdato mercoledì 16/12 anche al Teatro della Società di Lecco, portato da Jurij Ferrini, regista e attore quarantenne di grandi slanci e vivacità creativa: si tratta un’opera dello scorso anno nata dalla collaborazione del suo progetto U.R.T. (Unità di Ricerca Teatrale) con il Teatro Stabile di Torino.
La storia è nota. Il coraggioso cadetto di Guascogna è da tutti temuto per le sue doti di spadaccino, e ammirato per la straordinaria capacità di comporre versi nonché per il suo rifiuto di inchinarsi ai potenti: «cantare, sognare, ridere in piena libertà» è il suo motto. Ma questa ribellione contro il mondo cela il profondo disagio per la propria condizione di “diverso”: quel naso sproporzionato, che lo rende deforme e mostruoso, gli impedisce di vivere una vita normale, e dunque ogni suo gesto tocca l’eccesso. Eccessivo e immenso è infatti il suo puro sentimento d’amore per Rossana, che invece ama Cristiano, bello ma privo di personalità. Fra i due uomini nasce un accordo di reciproco completamento: Cristiano sarà bellezza muta, Cyrano gli presterà le sue parole e versi poetici di impareggiabile bellezza che stordiranno i sensi di Rossana. I due amanti convolano a nozze, ma subito arriva la guerra, che porterà via la giovane vita di Cristiano. Lei si ritira in convento e Cyrano le fa visita per quindici anni, senza rivelarle il segreto della sua anima ferita, fino a morire fra le braccia dell’adorata.
A fronte di un classico molto rappresentato, le aspettative sono alte e i rischi elevati. Ferrini è riuscito invece a svecchiare il testo (sua la traduzione e l’adattamento), che solo nelle parti più famose suona in versi, fluidi e capaci di valorizzare lo spunto comico della rima. In due ore di spettacolo senza intervallo, la struttura risulta compatta, curata l’orchestrazione dei dieci personaggi, puntuali nei passaggi di battuta e di ruolo, con trovate comiche che hanno deliziato il pubblico lecchese. Si notano però alcuni momenti di stanchezza e di eccesso di didattismo, soprattutto fra gli interpreti più giovani.
Notevoli alcune scelte, come l’apparizione di Cyrano dalla platea o la scenografia minimale capace di adattarsi (la sedia diventa una lapide, la panca diventa l’appoggio per fare fuoco contro il nemico), ma non sempre pare riuscito il mix di antico (la foggia di alcuni costumi démodés) e moderno, come certi effetti cinematografici (tagli di luce e sonorità epiche).
Perché Cyrano oggi? Rostand ha composto questa storia, una sorta di riscrittura della Bella e la Bestia, – ricorda il regista – pensando ai giovani del suo tempo, destinati di lì a poco al macello delle trincee, nella prima guerra mondiale. Con un intento antibellicista, Ferrini ha creato in scena un ossimoro: la pioggia dei proiettili (scanditi da un sonoro realistico) si è trasformata visivamente in una pioggia di petali colorati, immagine che vuole essere anche una speranza e introduce all’atmosfera autunnale del declino dell’eroe.
Cyrano rappresenta la coerenza di chi crede nel valore degli ideali, nella libertà, le ali del sogno e della poesia. L’eroe di Ferrini pare ribollire di un’energia trattenuta, che mette in ombra la vena scanzonata per accentuare invece il carattere malinconico: spesso si ferma pensoso, macerato in un tormento evidenziato visivamente anche dal naso. Non una protesi posticcia, ma una “gabbia” tenuta sul viso da tre lacci a vista, uniti dietro la testa: quasi una museruola, che ricorda quella di Hannibal Lecter del film Il silenzio degli innocenti. E infatti diventa simbolo del marchio di diversità che il mondo ti cuce addosso, nel tentativo di frenare la tua libertà. Dunque un naso-trappola, ma al tempo stesso un naso vitale, che convoglia il respiro, l’ispirazione poetica e il coraggio della resistenza, nonostante tutto. Cyrano sguaina la spada contro i Vizi e perfino contro la falce della Morte, gridando: «mi darete scaccomatto, ma che importa: io mi batto». Lunga e commossa l’ovazione del pubblico.
Gilda Tentorio
Foto di Andrea Macchia – http://www.progettourt.it/media