LECCO – ll 27 marzo è la giornata mondiale del teatro; una data che tutto il comparto dello spettacolo dal vivo attendeva con fiducia perché annunciata come data simbolica in cui i teatri avrebbero finalmente riaperto, dopo un anno di chiusura.
Un 2020 tragico per tutte le imprese che fanno cultura in Italia: teatri e festival ma anche gallerie d’arte, musei, sale concerti, case discografiche, realtà legate alla produzione cinematografica, spazi polifunzionali per le residenze artistiche e gli eventi. Una strage: perché il settore culturale in Italia non è soltanto quello dell’industria dell’intrattenimento, multisale, mega concerti, produzioni teatrali con tournée e cast di grandi dimensioni. Sia ben chiaro: anche queste realtà stanno subendo danni irreversibili, ma con un po’ di fortuna riusciranno a sopravvivere al colpo. Tutti gli altri no: parliamo dei piccoli teatri locali, dei cinema indipendenti, di quelle realtà che promuovono la ricerca artistica, sostengono i giovani creativi, diffondono una cultura diversa da quella mainstream.
Il panorama culturale italiano è un ecosistema delicatissimo, in parte invisibile, non ancora riconosciuto dalle istituzioni e quindi automaticamente escluso dagli incentivi governativi, con centinaia di lavoratori e lavoratrici che non solo non lavorano più da un anno, ma non hanno potuto neppure beneficiare della cassa integrazione o dei sussidi riconosciuti alle partite iva o ai lavoratori stagionali.
Una rete fatta di tante realtà, ciascuna con la propria mission e vision artistica, tutte preziose perché indispensabili alla sopravvivenza e alla diversificazione del panorama culturale nazionale, cuore pulsante dell’identità europea, da sempre centro di produzione e scambio di idee e visioni sul futuro.
Che ruolo riveste la cultura nei bisogni sociali, collettivi e personali di ciascuno di noi? Abbiamo festeggiato qualche giorno fa Dante Day, senza che nessuno menzionasse il fatto che i musei sono chiusi e le biblioteche pure da oltre 12 mesi. Come se la storia nazionale non contasse: come se l’Italia di Dante, di Leonardo da Vinci, del Manzoni, di Michelangelo, del Caravaggio – ma anche di Pasolini, Pavese, Vittorio Gassman, Carmelo Bene – non avesse più valore nell’Italia del Covid. Come se fossimo tutti vittime di una sorta di anamnesi collettiva.
Oggi 27 marzo, giornata mondiale del teatro, il Coordinamento Spettacolo Lombardia ha occupato il Piccolo Teatro Grassi di Milano allo scopo di costruire un parlamento culturale permanente che riporti il lavoro delle attività culturali all’attenzione politica del governo – ma anche sociale dei cittadini e delle cittadine della Lombardia (e non solo).
Un’azione senza precedenti in un luogo dal profondo valore simbolico: il Piccolo Teatro Grassi è nato nel 1947 da Giorgio Strehler e Paolo Grassi, come “primo teatro comunale di prosa d’Italia”, un “teatro d’arte per tutti”. È il teatro in cui è nato quell’Arlecchino che ha fatto grande la storia del teatro italiano nel mondo, e che non ha mai smesso di ospitare artisti prodigiosi fino ad oggi – anzi, fino a un anno fa.
È a questo patrimonio storico culturale, di immenso valore immateriale, che vogliono ispirarsi i manifestanti e membri del Coordinamento in occupazione pacifica: come dicono le parole dei fondatori del Grassi, il teatro è “il luogo dove una comunità, liberamente riunita, si rivela a se stessa: il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere, perché, anche quando gli spettatori non se ne avvedono, questa parola li aiuterà a decidere nella loro vita individuale e nella loro responsabilità sociale”.
Nella giornata mondiale del teatro la volontà è quella di dare un segnale chiaro a tutto il Paese: se ci sarà un nuova Italia dopo il Coronavirus, la ripartenza comincerà proprio dalla cultura e dell’arte, che non sono un piacevole diversivo per le serate noiose, ma costituiscono la nostra più profonda, intima e preziosa identità nazionale.
Sofia Bolognini