GATTI, UN LECCHESE NELLE ONG:
“SI SALVANO PIÙ PERSONE
SE SIAMO VICINI, LE POLEMICHE DISTRUGGONO LA SOLIDARIETÀ”

gatti ong qll (3)LECCO – Anche a Lecco si parla di un tema caldo, che da settimane sta infiammando il dibattito nazionale: quello delle Ong che lavorano nelle acque del Mediterraneo salvando la vita alle persone che scappano dalla Libia e rischiano di affogare in mare. Ospite di Qui Lecco libera nella bellissima cereria “A lume di candela” è Riccardo Gatti, 39enne calolziese che lavora a bordo della nave di Proactiva open arms, organizzazione spagnola che opera nel Mediterraneo da metà del 2016 e ha tratto in salvo finora oltre 18mila persone.

Il primo aspetto che Gatti ha tenuto a mettere in chiaro è che “la situazione nel Mediterraneo meridionale è la stessa da 20 anni, negli ultimi tempi si è solo intensificata” e sono cambiati i luoghi di approdo: se fino a qualche anno fa le barche arrivavano a Catania e Lampedusa “abbiamo iniziato a dover recuperare la gente al largo e oggi addirittura a pochi chilometri dalle coste libiche, appena fuori dalle acque territoriali”.

Ma il marinaio ha spiegato all’ottantina di persone presenti come funziona dal punto di vista operativo il soccorso delle persone in mare: “Partiamo da Malta dove c’è il porto base perché è l’isola più vicina e logisticamente più facile da raggiungere, da lì ci si mette un giorno ad arrivare nella zona Sar (Search and rescue). A coordinare le operazioni è la Guardia costiera di Roma, che con dei mezzi estremamente limitati fa un grandissimo lavoro: a loro arriva la chiamata con cui si avvisa dell’emergenza e da lì viene attivata l’imbarcazione di salvataggio più vicina. Quando si tratta di una di queste barche cariche di gente il livello di emergenza marino attribuito è sempre mayday, quello che comporta il rischio di vita“.

gatti ong qll (5)“Una volta arrivati sul posto – continua Gatti mostrando dei video amatoriali davvero più eloquenti di qualunque parola – la prima cosa da fare è metterli in sicurezza: loro sono spaventati e per lavorare dobbiamo mantenere il controllo, controllo che passa anche attraverso la divisione tra chi è bagnato e chi no. Abbiamo infatti scoperto che il mix tra benzina e acqua di mare dà origine ad una sorta di soda caustica che causa una bruciatura chimica alla pelle; inoltre anche una volta caricati sulla nave di salvataggio rischiano di morire per ipotermia e dobbiamo letteralmente buttarci sopra di loro per provare a salvarli. In altri casi è il caldo o la stanchezza che può causare svenimenti e perdere i sensi su una barca così affollata può essere fatale: la gente muore annegata nell’acqua che inevitabilmente giace sul fondo della nave o del gommone, come è successo durante un’operazione di salvataggio ad ottobre dove su 225 persone ne abbiamo perse così 29″.

In un’altra occasione sono stati chiamati per soccorrere una nave che aveva a bordo mille persone e stava affondando perché i “passeggeri”, spaventati da una fonte di fumo, si erano spostati tutti da un lato dell’imbarcazione facendola colare a picco: “Abbiamo buttato in mare tutto quello che avevamo a bordo per farli stare a galla e alla fine è morta una sola persona”.

gatti ong qll (1)“Ad oggi, nel 2017, ci sono stati 45118 sbarchi in Italia – ha sottolineato Duccio Facchini, moderatore della serata – il 44 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le Ong hanno un ruolo?”. Pronta la risposta di Gatti, che su questo tema è stato anche interpellato durante un’audizione al Senato: “Con il lavoro che stanno facendo le organizzazioni come la mia negli ultimi tre anni e mezzo, il fenomeno è solo diventato più evidente. Le Ong sono lì per un motivo semplice: la gente moriva in mare, c’era molto bisogno perché la Guardia costiera italiana non ce la fa con solo tre navi a gestire la situazione e le Ong sono intervenute, nell’estate del 2016 con dodici barche in tutto, adesso alcune si stanno ritirando e siamo una decina. Noi siamo lì perché si tratta di operazioni di emergenza, si salvano più persone se si arriva prima e per arrivare prima bisogna essere più vicini“.

E molto direttamente ha affrontato anche l’accusa di essere un “pull-factor” di queste partenze: “Nessuna delle persone salvate ha detto di essere scappata sperando di essere trovata dalle Ong, loro scappano dalla violenza, dalla guerra, dalla fame, dai cambiamenti climatici. La causa vera delle partenze è il nostro sistema economico fortemente iniquo, che ci consente di vivere bene a scapito di qualcun altro. Chi lascia il proprio paese paga i trafficanti per il viaggio dal loro stato fino in Libia, dove una volta arrivati nella maggior parte dei casi vengono arrestati, torturati, picchiati, fino a quando non consegnano altri soldi. A quel punto li fanno partire: quando le navi partono i trafficanti restano a bordo solo per la parte iniziale del viaggio e una volta al largo si fanno venire a prendere, oppure obbligano le persone, anche sparando loro addosso, a salire da soli sulle barche, un naufragio preannunciato”.

La situazione che si è creata in Libia con la caduta di Ghedaffi poi a contribuito a rendere ancora più critica la questione: “Da un lato le partenze sono diventate incontrollabili e dall’altro per i trafficanti di esseri umani è diventato ancora più facile e lucroso agire. Inoltre c’è da dire che l’Italia e l’Europa stanno facendo accordi con la Libia come se ci fosse uno stato, ma lo stato non c’è. Stiamo spendendo un sacco di soldi, come con le dieci motovedette recentemente regalate per pattugliare le acque territoriali, con lo scopo di far sì che le persone non partano. Se venissero impiegate le risorse per progetti seri, come potrebbero essere i corridoi umanitari, le Ong neanche servirebbero”.

E anche sul punto dei finanziamenti Gatti è stato estremamente chiaro: “I soldi con cui lavora Proactiva arrivano per il 96 per cento dalla società civile, da privati cittadini che credono in quello che facciamo e scelgono di finanziarci. Ci sono persone semplici, 36mila fino ad adesso, che ci versano pochi euro, e poi ci sono donazioni importanti come quella di Guardiola, Richard Gere e un’eredità di oltre 100mila euro che ci è stata lasciata. Le nostre missioni costano 5mila euro al giorno, l’unico stipendio pagato è il mio, il costo degli altri professionisti a bordo è compreso con l’affitto dell’imbarcazione”.

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Durante l’incontro non è mancata la riflessione su Frontex, l’agenzia per la protezione delle frontiere nata sul modello di Mare nostrum: “Loro non fanno salvataggio in mare ma si limitano a controllare le coste, rimanendo a dieci ore di navigazione dalle zone Sar, però poi vanno nei porti a identificare le persone che abbiamo salvato. È stato il direttore di Frontex a insinuare che le Ong sono in combutta con i trafficanti, ma queste sono dicerie, ci si accusa di fatti gravissimi senza avere la minima prova. Anche da parte delle autorità l’atteggiamento nei nostri confronti è cambiato: cercano di rallentare il nostro lavoro, ci mettono pressione, io ho addirittura il telefono sotto controllo, diamo fastidio perché facciamo vedere quello che sta succedendo“.

A conclusione dell’ora e mezza abbondante che Riccardo Gatti ha trascorso nella sua città natale, a condividere la propria preziosa esperienza, ci ha lasciato una riflessione importante: “Io credo che bisogna farsi carico di queste persone, che scappano anche per colpa nostra, e in mare muoiono. L’unico scopo delle polemiche di questi giorni è quello di distruggere la solidarietà”.

Manuela Valsecchi