DON MILANI: “NICOLÒ IL SANTO
DELLA GIUSTIZIA SOCIALE”.
OLTRE ALLE MELE IL PRANZO
PER GLI OSPITI DELLA CARITAS

LECCO – La città ha celebrato il patrono san Nicolò con una messa solenne alla presenza delle autorità e dei cittadini benemeriti del 2018. Nella sua prima festa patronale il prevosto monsignor Davide Milani ha tenuto una predica intensa, partendo dalle letture del giorno e individuando tre figure: Ciro il re pagano, il Battista e san Nicolò. Ciro era un re pagano, che permise agli ebrei in esilio di professare la fede e di ritornare a Gerusalemme per ricostruire il tempio. Ciro offre un esempio: “Compiere bene il proprio dovere – ha detto monsignor Milani -, tutelare il creato, ordinare e migliorare l’angolino della città in cui viviamo, sono piccoli gesti che cambiano una città. L’azione degli amministratori pubblici, quando si muove per la promozione della libertà individuale, genera effetti positivi, con ricadute importanti”.

Il prevosto ha anche parlato di san Nicolò, definendolo il santo dell’intercessione, il santo della giustizia sociale, il difensore dei deboli che si mette in mezzo, vede le situazioni di povertà e agisce per rimuovere la sorgente delle ingiustizie. Il criterio della compassione, tratto caratteristico del patrono, deve permeare la vita dei cristiani: “Usiamo questo criterio – ha detto ancora monsignor Milani – nelle nostre conversazioni, anche digitali, per far nascere relazioni solidali forti e rendere più forte la nostra città”. A conclusione il sacerdote ha invitato i cristiani a scrivere una lettera alla città in cui offrire il proprio contributo per la ricostruzione di Lecco.

Infine, come da tradizione, il patrono impersonato da don Filippo Dotti ha offerto le mele di san Nicolò confezionate dai volontari dell’oratorio san Luigi alle autorità ed ai bambini, mentre la parrocchia in festa ha offerto il pranzo agli ospiti della mensa Caritas e ai senza dimora, un segno concreto dell’attuazione del messaggio del santo patrono.

 


Omelia nella celebrazione eucaristica
Festa di San Nicolò, patrono della Città
Ci sono tre gigantesche figure che svettano in questa terza domenica di
avvento: due si ergono dalle letture bibliche – Giovanni il Battista e Ciro
imperatore di Babilonia – una dalla tradizione, san Nicoló, il patrono della
nostra città che stiamo celebrando.

CIRO, STRUMENTO DELLA LIBERAZIONE
Siamo nel VI secolo a.C. e il popolo di Israele da decenni è schiavo e
deportato a Babilonia, dove si sta imponendo il nuovo re, Ciro II.
Un re pagano, secondo i canoni religiosi ebraici del tempo.
Dalla Persia, attraverso una serie di conquiste, Ciro aveva creato un grande
impero. Con abilità, anziché reprimere nel sangue le singole autonomie
nazionali, adottava una politica di tolleranza e di autonomie. E con un editto,
Ciro aveva permesso agli Ebrei di rientrare in patria e ricostruire il tempio.
Molti Ebrei, ormai abituati a vivere in quell’esilio in cui avevano costruito
case e impiantato commerci, non sentivano più il desiderio di tornare alla
propria patria, al Dio dei Padri, a ricostruire il tempio di Gerusalemme.
È paradossale: la giustizia di questo re pagano diventa strumento di
provocazione per il popolo di Israele affinché si scuota, ritrovi il desiderio di
essere fedele a Dio, si converta, trovi il coraggio dell’incerto cammino di
rientro nella lontana e distrutta Gerusalemme.
Probabilmente Ciro, imperatore di un continente, non era cosciente del bene
che – con quell’editto – stava compiendo per quel piccolo popolo di Israele,
forse il più derelitto tra quelli assoggettati. Il suo impegno – pur secondo i
canoni del tempo – per la giustizia, la libertà religiosa, le autonomie nazionali
diventano per Israele uno degli episodi più decisivi della propria storia, e di
quella storia della salvezza che ci ha donato Gesù Cristo.
Ciascuno di noi quando opera per la giustizia e per il bene produce benefici e
frutti: in ogni azione della giornata, nel modo di vivere la famiglia, nella
ripetitivitá o creatività del proprio lavoro.
Compiere bene il proprio dovere, prendersi cura delle cose di tutti, tutelare e
curare il Creato, contribuire a ordinare e migliorare l’angolo di città che
abitiamo, sono azioni talmente piccole e ordinarie da essere rivoluzionarie.
Sono i piccoli gesti che cambiano radicalmente una città, in modo più
decisivo dei pur necessari progetti urbanistici, sociali ed economici.
Anche le azioni e le decisioni degli amministratori pubblici quando operano
in modo saggio, per il bene comune, nel rispetto e per la promozione delle
libertà individuali e sociali generano benefici immensi, e duraturi, i cui effetti
hanno ricadute incommensurabili.
Agire avendo come obiettivo la dignità di tutti e la liberazione della persona
da ogni forma di schiavitù e costrizione, libera l’amministratore pubblico dal
calcolo personale, di parte e dalla ricerca esclusiva del proprio tornaconto.
Un’azione così libera l’amministratore e gli amministrati.
Per questo – come cristiani della città di Lecco, fedeli laici insieme ai sacerdoti
e ai consacrati – esprimiamo un sincero ringraziamento a tutte le istituzioni
pubbliche e alle autorità civili per tutte le volte in cui operano per l’autentico
bene e la vera liberazione della città e del popolo, di tutto il popolo.
Le conseguenze delle azioni giuste si esplicano così lontane nel tempo da non
poter essere totalmente capitalizzate al successivo giro di elezioni o nomine.
Ma i benefici rimangono a lungo nella storia delle persone e della città.

Magari in modo anonimo, ma incise perennemente sul libro giustizia di Dio.

 

NICOLÓ, MAESTRO DELL’INTERCESSIONE
Allo spuntar del giorno, Nicola si recò al palazzo dall’imperatore e gli parlò
cosi: “Tutto il mondo è governato, covato dalla tua maestà, esso come un nido
ti considera suo signore e guida. Io dunque pensavo che questo tuo compito
valesse anche per la mia patria, per Mira, ma a quanto pare non è così».
L’imperatore intimorito gli rispose: «E che cosa è accaduto alla tua patria,
Nicola?». Il santo disse: «Imperatore, hanno aumentato le imposte della città
di Mira fino a diecimila denari, tutto il popolo è alla miseria estrema e la
gente continua a morire di fame oppressa dal servo dell’imperatore. Per
questo cerco di ottenere clemenza da sua maestà».
L’imperatore dunque chiese a Nicola: «Quanto vuoi che io stabilisca come
tributo per Mira?». Nicola gli rispose: «Scrivi, cento denari». E l’imperatore

concesse la riduzione dei tributi.

Alcuni uomini, tre giorni dopo, si recarono dall’imperatore e gli fecero notare
che la maggior parte dei suoi tributi provenivano da Mira, e che grave era il
danno a seguito di quella riduzione. Allora Costantino richiamò Nicola
dicendogli di essersi sbagliato e che intendeva rivedere la riduzione delle
tasse. Nicola gli disse che ciò era impossibile: «Signore, sono già trascorsi tre
giorni da quando il tuo ordine è giunto a Mira». Sorpreso, Costantino, dopo
aver constatato che ormai quella concessione era in vigore, sentenziò: «Sia
convalidato l’ordine che per il Santo Nicola stilammo allora».
Questo episodio sulla vita di san Nicolò, proveniente dalla tradizione
popolare, ben introduce, nel giorno in cui apriamo la festa del nostro santo
patrono, il secondo compito dei cristiani: intercedere.
San Nicoló per secoli interi è stato venerato come il santo difensore dei
poveri, il santo della giustizia sociale che si è battuto perché i più deboli
avessero dignità, creando le condizioni per risolvere le cause della povertà.
L’episodio appena ricordato, cosi come molti altri interventi prodigiosi
attribuiti a Nicola, convergono in questa direzione.
E questo stile di azione, il santo vescovo di Mira la realizza mettendosi in

mezzo, appunto “intercedendo”.

Vede la sofferenza del popolo e le situazioni di povertà, ne indaga e
comprende le cause, agisce per rimuovere la sorgente delle ingiustizie.
Lo fa da vescovo, in ragione della fede, uscendo dalla propria chiesa per
confrontarsi con l’imperatore che aveva applicato un tributo eccessivo per un
desiderio di profitto smodato.
Il cristiano è cosi: conosce la legge di Dio, vive tra gli uomini e ne ascolta i
bisogni. E con questo duplice sguardo vede, giudica, si coinvolge, agisce, sta
in mezzo. In una parola intercede.
Il cristiano sta in mezzo, dentro la società, non chiuso in chiesa. Sta con tutti
ma presta la sua voce ai deboli per rappresentarli presso chi ha responsabilità
pubbliche, cercando attenzione per loro, non per se.
Quanto associazionismo cattolico ha operato così nei decenni scorsi, con uno
stile, ispirazione, dedizione ed efficacia che occorre recuperare e rilanciare.
Il cattolico ha per definizione uno sguardo universale sulla realtà, non
intende la propria fede solo come pratica del culto. Il discepolo vive sapendo
che ogni circostanza della vita ha a che fare con il suo Signore Gesù Cristo.
Niente è escluso dal campo della fede. Non costruisce una società parallela
dove stare solo con chi pensa o crede come lui, ma vive e opera con tutti e per
tutti, leale e collaborativo con le istituzioni e chi le rappresenta.
Questi sentimenti di lealtà e collaborazione verso le istituzioni e le
amministrazioni, oggi la chiesa e i cristiani di Lecco rinnovano.
L’esempio del santo Nicoló, colui che intercede, è prezioso anche per chi ha
responsabilità pubbliche: lavorare e governare per il bene comune significa
stare in mezzo alla società, intercedere. Non solo esibire la propria presenza e
fare promesse per mostrarsi “vicino alla gente” ma più radicalmente operare
per la comunità sentendosene parte, immersi, impegnati a dare risposte,

soluzioni, direzione, collaborazione.

GIOVANNI IL BATTISTA, EDUCATO DALLA COMPASSIONE
Giovanni il Battista, “sapute queste cose” manda dei messaggeri da Gesù.
“Sei tu che devi venire o dobbiamo aspettarne un altro?”
Aveva preparato la via al Signore, predicando in modo austero e forte nel
deserto e operando un affollato battesimo di conversione al fiume Giordano.
Ora Giovanni è in carcere e gli riferiscono di due grandi miracoli.
Gesù si era mosso a compassione per la richiesta di un centurione, straniero,
pagano: il suo servo stava per morire. Con una parola Gesù lo aveva guarito.
Poi a Nain aveva notato il corteo verso la tomba per un ragazzo morto, figlio
di una madre rimasta vedova. “Vedendola” è scritto “il Signore fu preso da
grande compassione per lei”. E lo riportò in vita.
Ecco di cosa fu informato Giovanni in carcere: della compassione di Cristo,
difensore di vedove e di stranieri. E proprio davanti ai messaggeri di
Giovanni Gesù – in diretta – aveva compiuto altri gesti di compassione,
guarendo e sanando molti, invitando a riferire quanto visto al Battista.
Questa compassione fa problema a Giovanni, lui che con forza predicava nel
deserto la conversione, perché probabilmente era convinto – come noi oggi –
che per cambiare le cose servano decisione e determinazione, non
compassione. Occorre alzare la voce e il livello della polemica. E imporsi.
Questa compassione di Gesù non è pietismo ma la sua incrollabile decisione
di patire insieme all’uomo, ad ogni uomo che soffre, per liberarlo dal suo
dolore, dalla sua morte. Morendo e risorgendo per lui.
Gesù ci invita a fare altrettanto, a giudicare e vivere con compassione,
ascoltando ed alleandoci con la sofferenza dell’altro, con quella forma di
povertà che è in ciascuno di noi e che ci fa essere carenti, mancanti, mortali,
bisognosi di salvezza e di grazia, di compimento.
Noi spesso però non siamo così: guardiamo alla forza dell’altro, invidiamo le
sue eccellenze o ci alleiamo con lui per beneficiarne.
E le povertà, tutte le forme di povertà che sono in ognuno, nemmeno
vogliamo vederle. Anzi, paradosso, le combattiamo. Non per risolverle, ma
per togliere di torno i più poveri tra i poveri. Perché inquietano la nostra
coscienza, minacciano il nostro benessere, ci fanno comprendere che le nostre
fragili ricchezze potrebbero dissolversi.
Altro che compassione per i poveri: dagli addosso al povero, attaccalo, usalo
per le tue battaglie, scaccialo o – se sei di buone maniere – evitalo.
Ci doni il Signore di avere occhi e cuori pieni di compassione anzitutto per
non condannare noi stessi, per vedere e accettare le nostre molte forme di
povertà: non siamo perfetti e forti come vorremmo. Abbiamo bisogno di quel
Salvatore di cui in questo Avvento attendiamo la venuta.
E se non condanniamo noi stessi e ci accettiamo come siamo, siamo più pronti
per accogliere i poveri che ci circondano: gli anziani senza compagnia, i
giovani senza prospettive, gli immigrati senza dignità, gli ammalati senza
speranza, le persone senza lavoro, i detenuti senza possibilità.
Usiamo questo criterio di compassione nelle nostre conversazioni, personali e
digitali, a questa compassione educhiamo i più giovani ai quali troppo spesso
stiamo facendo mancare questa testimonianza.
Urlare, attaccare, polemizzare, deridere, denigrare sembra ci facciano sentire
forti, ma solo per qualche attimo, quasi dei leoni solitari che dopo aver
sbranato e divorato quanti consideriamo scomodi o nemici cercano altri
motivi per ruggire insulti e altri da divorare. Scoprendoci poi soli.
Agire partendo dalla compassione verso di noi e gli altri farà nascere
relazioni nuove, solidali, più forti, rendendo forte anche la nostra città.
Voglio ringraziare tutti gli amministratori locali e i responsabili della vita
pubblica di Lecco per tutte le volte che hanno agito con questa compassione,
per tutte le volte che non hanno intrapreso la via della contrapposizione
urlata e fine a se stessa, cercando invece quel dialogo che – pur complesso – è
via per la soluzione delle difficoltà e la dignità di tutti.
Anche i cristiani di Lecco vogliono dare un contributo a questo dialogo.
Guardando con la stessa compassione di Gesù a tutti coloro che qui abitano,
interrogando i molti gesti caritativi, educativi, culturali, conviviali che già
pongono in atto con i lecchesi e per i lecchesi; i cristiani di Lecco, laici e
consacrati insieme, attraverso i consigli di partecipazione parrocchiali, i
Movimenti e le associazioni, si impegnano nei prossimi mesi, a scrivere una
lettera alla Città, ai suoi abitanti e a chi in tutte le forme contribuisce al suo
governo. Lettera in cui motivare le ragioni della nostra azione, offrire il nostro
contributo responsabile alla vita della città e alla sua conduzione.
Ciro, strumento della liberazione; Nicoló, maestro dell’intercessione,
Giovanni il Battista, educato della compassione: queste tre vie rendano bella

la nostra città e noi suoi abitanti.

 

mons. Davide Milani