DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA DOMENICA DI LAZZARO

La vasta pagina proposta della nostra narrazione colpisce anche emotivamente nel vedere il Signore Gesù che – benché, con la sua capacità profetica, l’abbia conosciuta e annunciata – si commuove davanti alla morte di un amico. Ci dice della sua umanità vera, profonda, che benché animata dall’imperativo interiore in tensione verso la volontà del Padre nel sacrificio totale di sé, pure vibra intensa negli affetti dell’amicizia terrena: Gesù è uomo vero, pieno, di carne, ben lontano dalle persuasioni delle apparenze docetiche.

Questo che richiama in vita l’amico morto che “manda già cattivo odore perché è di quattro giorni” è il settimo “segno”: ci evoca innanzitutto il primo dono di Dio: la vita, ma soprattutto è “segno” e annuncio della vittoria definitiva sulla morte del Signore Gesù che ha testé dichiarato: “Io sono la resurrezione e la vita”.

Il primo “segno” di Cana era stata effusione felice d’abbondanza e festa nel rivelare la missione; due altri erano seguiti ad indicare già, pur in più sommessa ripetizione, il dono della vita restituita alla salute fisica anche vincendo le esteriori formalità legali; poi il sostentamento più vero nel pane spezzato alle folle, e l’impressionante potenza divina che s’impone ai marosi; seguiva – radioso sesto “segno” d’annuncio della luce del Signore – la vista restituita al cieco e così non a lui solo donata. Qui si compiono e colmano le profezie dell’imminenza della morte per la vita del mondo.

Tutto il lungo brano ha impianto e sapore – in parole e gesti – di profezia. Ancora lontano Gesù afferma che la comunicata malattia di Lazzaro (un po’ come l’infermità del Cieco) “è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato”, a Marta poi annuncia: “Tuo fratello risorgerà” e alla sua solo differita certezza (come anche alla nostra) risponde con solennità singolare: “Io sono la risurrezione e la vita”. Segue il comando di rimuover la pietra dove ancora – al meravigliato pessimismo della stessa Marta, troppo volta all’immediato materiale – assicura (alla sua e ad ogni fede) di poter vedere “la gloria di Dio”.

Segue l’elevare pubblica preghiera nella certezza dell’ascolto del Padre prima del grido imperioso di richiamo alla vita, quel: “Lazaro vieni fuori”, che compie i segni di profezia, annuncio felice del dono di vita piena nel sacrificio del Figlio di Dio. Un’ultima, torva – pur reale – profezia, la fa per tutti i tempi, Caifa, “sommo sacerdote in quell’anno” secondo la quale “Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. La mite, silenziosa (nei vangeli quasi defilata) figura di Lazzaro, amato dal Signore Gesù, non è rimando alla sola resurrezione del Signore, ma richiamo per tutti noi che dalla forza del sacrificio di Gesù, siamo tratti alla vita luminosa e piena della grazia con l’immersione nelle acque battesimali e nella continua misericordia di Dio.

 

Don Giovanni Milani