LECCO – Finalmente si è conclusa la vicenda giudiziaria di Laura Gaddi, mandellese, ex lavoratrice della Gilardoni, che dopo 40 anni di servizio come impiegata amministrativa, nel marzo 2014, era stata licenziata nel giro di due mesi. Periodo in cui aveva ricevuto ben dieci contestazioni disciplinari, rivelatesi poi del tutto inconsistenti e infondate.
La Cassazione ha respinto il ricorso avanzato dall’azienda, confermando la sentenza della Corte di Appello (4 novembre 2015) in cui il licenziamento della signora era stato dichiarato illegittimo, a differenza di quanto stabilito in primo grado dal Tribunale di Lecco, il 16 giugno 2015 – . La società è stata condannata al versamento dell’indennità risarcitoria previsto dall’articolo 18, pari a quindici mensilità oltre all’indennità sostitutiva della reintegrazione.
“È una sentenza importante – sostiene l’avvocato Alessandra Colombo, legale di Gaddi per conto dell’ufficio vertenze della Cgil – perché censura un comportamento con cui la Gilardoni operava sistematicamente. Ringrazio la signora Gaddi per il suo coraggio, per essere andata fino in fondo ed essersi fidata di noi. Grazie a lei si è palesato come il metodo della pioggia ingiustificata di provvedimenti disciplinari fosse una modalità usata da tempo per licenziare i dipendenti . C’è una progettualità in essa: l’alto numero di contestazioni crea un ingorgo davanti al giudice del lavoro, che a Lecco è solo uno, e ciò fa sì che le singole contestazioni non vengano valutate attentamente”.
Critica nei confronti della sentenza del giudice lecchese anche la posizione della Corte d’appello: “questo Collegio [composto da tre giudici. nda] non ha compreso per quali ragioni il Giudice di primo grado abbia potuto ritenere sussistente il fatto contestato alla lavoratrice. La motivazione, sul punto, risulta affetta da vizi logico-giuridici nonché da valutazione palesemente erronee”.
Un clima di terrore era quello che si respirava alla Gilardoni, in particolare negli uffici amministrativi, bisognava addirittura chiedere l’autorizzazione per telefonare, quando questa attività rientrava nelle proprie mansioni lavorative. “Era vietato prendere ferie il lunedì e il venerdì, ammalarsi di lunedì e venerdì, donare il sangue – spiega Gabriele Viganò dell’ufficio vertenze della Cgil -. L’azienda sanzionava i lavoratori anche non pagando giorni di retribuzione dovuti (persino quelli concessi con la legge 104). In tutto abbiamo seguito 20 persone, anche per queste situazioni di minor gravità”. “In un contesto del genere, perché non si trattava solo di Cristina Gilardoni – sottolinea Fabio Anghileri della Fiom – era difficile far prendere coscienza ai lavoratori della possibilità di rivendicare i diritti che avevano, cioè di lavorare normalmente. Né più né meno”.
La situazione di Laura Gaddi, ma come lei anche di altri dipendenti, ha iniziato a volgere al peggio improvvisamente quando, in seguito a un serio problema famigliare, la lavoratrice ha chiesto di poter rientrare al lavoro nel pomeriggio 15 minuti dopo. Il suo contratto era part-time e la disponibilità a fare i pomeriggi era un di più concesso dalla signora Gaddi, non un obbligo per contratto. A questo punto l’azienda ha iniziato a far fioccare contestazioni disciplinari quasi quotidianamente, anche due in un giorno. “Arrivavo a casa – racconta Laura Gaddi – e mi trovavo le raccomandate. Questo sistema di martellare mi aveva completamente bloccato: avevo perso l’autostima e controllavo dieci volte il lavoro perché mi avevano fatto sentire insicura. Non mangiavo più, non dormivo più. Sono dovuta andare in cura da uno psichiatra per la depressione. Ora sono molto soddisfatta di questa sentenza e di aver avuto la forza di andare fino in fondo”.
C. S.