CALOLZIO, ZHOK CRITICA POLITICAMENTE CORRETTO E ‘CULTURA WOKE’

CALOLZIOCORTE – La serata di lunedì 26 al Monastero del Lavello è stata l’occasione per conoscere meglio “La profana inquisizione e il regno dell’anomia. Sul senso storico del politicamente corretto e della cultura woke”, ultimo libro del filosofo e professore universitario Andrea Zhok.

L’evento è stato presentato da Luigi Pedrone, dell’Associazione culturale Identità Europea, che ha ringraziato il presidente della fondazione Monastero del Lavello Roberto Monteleone per l’ospitalità e il comune, rappresentato dall’assessore Luca Caremi, per il patrocinio all’evento.

Zhok ha introdotto il volume definendolo “un lavoro a metà strada tra filosofia e divulgazione, incentrato sul senso storico della cultura woke e di quel politicamente corretto che è una “profana inquisizione”, una sorta di Santa Inquisizione non ispirata da un carattere teologico, ma dall’anomia, concetto fondato dal sociologo Émile Durkheim nell’800 che indica un complessivo disorientamento, etico e morale, della società“.

“La prima parte del volume – ha continuato Zhok – è più astratta e cerca di approfondire le premesse di ordine teorico alla base della cultura woke che, dagli anni ’70 in poi, è diventata una forma culturale che ha raggiunto un carattere egemonico, sorpassando anche il concetto di mercato con iniziative forzose consapevoli di andare in perdita, per esempio l’accusa della Disney, dopo il flop del loro ultimo film, al pubblico definito sessista”.

“L’ideologia woke non è maggioritaria nella popolazione, ma è influente in una parte apicale della popolazione che ha maggiori capacità di influenza; molti argomenti che vengono sviluppati da essa hanno avuto ottime ragioni iniziali e sono poi andati fuori strada, per esempio la contestazione del concetto di normalità, che nasce in un contesto psichiatrico e psicanalitico con reali ragioni per evitare la stigmatizzazione di situazioni apparentemente anomale: da questa nicchia, le ragioni sono divenute un movimento culturale generale, singole istanze apparentemente in contraddizione. La cosa preoccupante è la centralità solo di alcuni argomenti, per cui in certa misura si può dibattere ma non si può affermare che occuparsi solo di alcune tematiche sia fuorviante”.

Questioni strutturali e fondamentali – ha proseguito Zhok – , come la questione di genere, andrebbero affrontate anche da altri punti di vista: in questa ideologia la difficoltà per le madri nella crescita dei figli, ad esempio, viene trattata dal punto di vista economico, per cui, in un contesto libertario all’estremo, viene detto che per risolvere il problema basta non fare figli”.

“L’operazione, condotta non perché sia stata decisa e pianificata, è frutto di una convergenza d’interessi che prende forma dopo la rivoluzione culturale del 1968, una rivoluzione mancata con diverse istanze: il movimento fallisce sul lato economico, mentre si instaura a livello sociale, a partire dalle università americane, luoghi i cui frequentatori hanno un elevatissimo tasso di astrazione e un difficile rapporto con la società; lì i soggetti “si fanno piacere la sconfitta” e sviluppano la ricognizione dei diritti individuali in una forma commercializzabile, per cui valori e componenti come la sessualità vengono commercializzati. In quest’idea, nel mercato l’individuo è sovrano, l’ultima sovranità rimasta è quella del consumatore: portata all’estremo, con la tecnologia e il mercato non avrai bisogno di procreare perché potrai comprarti un figlio”.

Il filosofo ha anche trattato il duplice significato del concetto di discriminazione: “il primo è cognitivo, discriminazione significa differenziare, il secondo è valoriale, si indica una componente superiore e una inferiore; questi significati sono diventati il medesimo, già fare una differenza può creare discriminazione in senso valoriale, per esempio fare differenza tra giochi da maschio e da femmina potrebbe essere visto come la matrice di una successiva discriminazione verso uno dei due gruppi. È in atto una cancellazione sistematica di differenze, nel nome della valorizzazione della differenza è intervenuta una posizione spesso violenta e intrusiva che ha stigmatizzato le differenze. Quella che viene definita identity politics è ciò che, al contrario, propugna una politica di cancellazione dell’identità”.

Nell’ultima sezione del libro, Zhok ha spiegato il carattere organico di questo movimento culturale, ma soprattutto perché non si tratta di un movimento minore: “io contesto la sua minimizzazione, non è un movimento marginale non solo perché nelle sue realizzazioni nel discorso pubblico ha cominciato ad assumere caratteri censori, ma lo è anche a livello di tesi comprovate scientificamente. Questo avvelena la discussione, se la sfera apicale della popolazione concorda su determinati temi perché il disaccordo non è ammesso, è problematico; ad esempio, una voce importante anche a livello di spesa nel Pnrr è quella sui gender studies, che saranno capisaldi della cultura universitaria del futuro, in un’operazione di riorientamento complessivo del discorso pubblico che lascerà implicazioni nelle future generazioni, con un riorientamento forzoso che non viene dall’interno della discussione scientifico-accademica”.

“Oltre ad incidere sul cosiddetto free speech – ha proseguito Zhok -, la cultura woke fa passare l’idea che la normalità, la natura umana e l’etica siano fattori inesistenti, cancellabili e ricreabili: con un “chi ha detto che…?”, ognuno può creare condizioni dannose e non opponibili davanti a cui ogni obiezione può essere messa fuori gioco. Per esempio il tema della transizione di genere, da trattare con prudenza, è stato preso come bandiera politica, come se la transessualità fosse un diritto umano, creando una distorsione grave di ciò che è innanzitutto un problema di carattere medico, un intervento invasivo e permanente a cui non mi ci posso riferire come patologia; le componenti dell’uomo vengono percepite come se ci fossero ma potrebbero non esserci, trattate come se fossero di carattere ideologico, ma che dovrebbero essere trattate in un dibattito aperto, parlando ad esempio dei casi di de-transizione e degli studi condotti su di essi”.

Zhok ha concluso la presentazione trattando la questione della natura umana: “Storicamente l’individuo deve guadagnare la sua autonomia attraverso un’iniziale guida orientativa, da cui poi si potrà staccare; per il movimento woke questo sistema dev’essere scardinato, perché semplicemente non c’è nessuna natura umana. Nel testo del filosofo israeliano Yuval Noah Harari, “Homo Deus”, viene fatta una categorizzazione dei punti sostenuti dai neoliberali: se posso perdere i parametri di giudizio della natura umana, posso arrivare a modificare e rimuovere i concetti stessi di Bene e Male e la forma empatica della natura umana, che riconosce che l’altro ha un valore comparabile al mio e io lo posso percepire: fare questo vuol dire segare l’albero su cui si è seduti e rimuovere le proprie scelte etiche, in un’operazione pedagogicamente rischiosa che va oltre al relativismo culturale e diventa un assoluto disorientamento”.

Il professore ha infine risposto alle domande del pubblico, parlando anche di religione, relativismo e futuro, e concludendo la serata con la vendita del proprio libro al pubblico interessato.

Michele Carenini