Di fronte a questo tipo di società e soprattutto alle sue varie contraddizioni spesso ci si può sentire smarriti oltre che impotenti nel contribuire a produrre cambiamenti significativi. Su questo mi ritorna in mente quanto mi rispose alcuni anni fa il magistrato di “Mani Pulite” Camillo Davigo durante un incontro pubblico a Lecco.
Alla mia domanda se mai avesse avuto la sensazione di operare a volte per una asimmetrica “giustizia di classe”, e quindi più sensibile alle “esigenze dei potenti” che degli “ultimi”, mi aveva risposto citando una leggenda che narrava le vicende di un eroe orientale. Un valente condottiero che nel mezzo di una cruenta battaglia menando fendenti a destra e a manca era assalito dal dubbio se stesse combattendo solo contro le forze nemiche o, involontariamente, anche quelle amiche. Nel continuare questa sua azione tranquillizzava la propria coscienza ricordando che l’importante fosse fare comunque il proprio dovere.
Non che questa sua risposta mi avesse convinto molto (quantomeno perché non avere così chiaro chi siano i veri avversari da contrastare rischia di sommare ingiustizia a ingiustizia), ma mi aveva colpito il sottinteso di aver coscienza dei propri doveri e di un ruolo attivo a cui tutti siamo chiamati. Quindi, tradotto: la rassegnazione a subire passivamente i macro eventi e le logiche dominanti, apparentemente per noi intangibili, non dovrebbe mai lasciare il posto a una rinuncia, pur nella consapevolezza dei propri limiti, a sviluppare un personale senso critico che è l’anticamera dell’agire anche controcorrente nel micro di ogni giorno. Della serie: tanti comportamenti micro che si saldano tra loro possono produrre cambiamenti macro.
Del resto come valutare quello che da vario tempo definisco un sistematico rovesciamento delle parti che sta spesso configurando le decisioni dei nostri governanti e delle élite che le condizionano? L’accettazione nei fatti delle logiche di guerra contro il volere della maggior parte dei propri cittadini; il lasciar calpestare il diritto internazionale da parte di chi usa la preponderanza della forza militare per far valere le proprie ragioni accampando ipocritamente presunte primazie di civiltà; in politica considerare “normale”, sempre nei fatti, solo ciò che può costituire vantaggio per la propria parte e non l’interesse collettivo arrivando a lodare come scaltrezza politica l’ipocrisia dei mutamenti di linea rispetto alle scelte promesse agli elettori; il mondo mediatico che da “cane da guardia” del Potere in gran parte ne è ancillare; un Debito Pubblico condizionato da logiche truffaldine di mercato che schiaccia i veri interessi e l’effettiva democrazia dei Popoli; lasciar isolare e delegittimare invece che sostenere i magistrati più esposti nella ricerca della verità sulle stragi che gravano pesantemente sulla credibilità anche attuale del nostro Stato (più sotto alcuni significativi aggiornamenti che non troveranno mai spazio nei tg); legittimare meccanismi speculativi, non solo borsistici, sui generi essenziali alla vita come l’acqua e il cibo che rendono precaria l’esistenza di milioni di persone, ecc., ecc.
Tutto questo e quant’altro configura questa società del profitto – e non per l’Uomo – è buon senso? Rappresenta il miglior modo possibile di garantire una Giustizia degna di tal nome? Se il macro può risultare molto spesso scoraggiante non per questo noi dobbiamo uniformarci acriticamente a ciò che ci appare ingiusto, smarrendo a nostra volta il buon senso. Solo così si potrà invertire la tendenza all’autodistruzione e/o quantomeno dare significato alla propria esistenza quotidiana.
Germano Bosisio