CASSAGO BRIANZA – Nella giornata che commemora i “Caduti e i Dispersi di tutte le guerre” abbiamo deciso di raccontare la storia di Enrica Zappa: una vicenda incredibile, quella di una famiglia coraggiosa, che custodisce segreti per mezzo secolo, ma che dimostra come l’amore vinca le barriere del tempo e della distanza. Una storia che potrebbe benissimo trovar posto tra le pagine di un vecchio libro, uno di quei famosi romanzi storici russi.
E proprio nella fredda Russia del 1942 che tutto comincia, o finisce: in quelle terre, durante la missione voluta da Mussolini per compiacere l’alleato tedesco, Bruno Zappa, caporale del 3° Reggimento Bersaglieri, scompare.
Chi era suo padre?
Era uno dei tanti italiani, ben 90.000, che morirono lontani da casa nella disastrosa “Campagna di Russia”: 128 uomini nella sola Brianza. Mio padre era originario proprio di queste zone, in particolare di Cassago, ma si trasferì a Milano per fare l’autista. Un brutto incidente, in cui perse la vita una bambina, lo cambiò per sempre: decise infatti di mettersi al servizio degli altri e diventare infermiere. Nel settembre del ’42 la guerra però interruppe i suoi sogni e lo costrinse a lasciare l’Italia: una partenza ancor più sofferta perché in via Canonica lasciava la giovane moglie Andreina e due figli, Corrado di cinque anni ed io, Enrica, che avevo qualche mese appena.
Come si mantenevano i contatti in tempo di guerra?
Mio padre ci scriveva tutti i giorni e spediva le lettere non appena poteva. Noi nel frattempo, a causa dei bombardamenti, ci eravamo trasferiti a Cassago dai nonni paterni. Nel dicembre del ’42 le lettere però si interrompono: quella che mia madre spedì il 14 tornò infatti indietro. Subito si rivolse alla Croce Rossa, ma fino al 2010 lo stato di mio padre rimase quello di “disperso” durante l’offensiva sul fiume Don.
Quale fu la reazione di sua madre?
Inizialmente non di diede per vinta: fino al 1954 cercò di sapere qualcosa scrivendo perfino al Ministero della Difesa, ma poi si chiuse nel suo dolore e ci vietò di parlare dell’argomento: non ci coinvolse mai, né da bambini, né da adulti. Io soffrivo del suo silenzio, avrei voluto conoscere mio padre, almeno dalle sue parole: invece quando le chiedevo informazioni si rattristava e mi chiedeva “Perchè vuoi farmi morire?”. Ricordo bene quanto alla Prima Comunione mi sentissi sola: ero l’unica bambina senza padre. Inoltre un vecchio amico di famiglia, Aldo Cazzaniga, anche lui autista, era riuscito a tornare dalla Russia e aveva confidato alla sorella della mamma che probabilmente Bruno era morto. Se l’avessi saputo, sarei andata a chiedergli di più!
Quando ha scoperto le lettere?
Solo negli anni ’90: quando mia madre è morta ho trovato una piccola cassetta chiusa con un lucchetto, di cui era sparita la chiave. Riuscimmo a romperla e con sorpresa trovai tutte le lettere che mio padre ci aveva scritto dal fronte: ho pianto per un giorno intero, finalmente lo conoscevo. Nelle sue lettere, dove la censura gli imponeva di scrivere che tutto andava bene, percepivo il suo affetto: un padre amorevole, che con nostalgia ricorda i cari lontani, l’amata moglie e i piccoli, che chiede e aspetta con ansia nostre notizie, forse per portare un po’ di normalità nella sua terribile quotidianità, e che si firma sempre “Tuo Bruno”. I colpi di scena, però, non sono finiti: nel 2004, una settimana prima di morire, zia Viola mi diede una lettera, l’ultima spedita da mio padre: era datata 2 dicembre 1942 ed era indirizzata alla sorella di mia madre. Mio padre raccontava di come stava per partire per una pericolosa zona di combattimento e pregava la zia di non dirlo alla ‘sua Andreina’ per non farla stare in pensiero. E zia Viola rispettò la volontà del cognato, mantenne il segreto per per più di sessant’anni e non raccontò mai nulla alla sorella, che morì senza sapere nulla.
Come ha cercato suo padre?
Ho iniziato subito le ricerche ma non si è mai trovato ne’ il suo corpo ne’ la sua piastrina. Pian piano il segreto di Stato che vincolava i documenti russi si è allentato: nel frattempo sono riuscita a visitare quei luoghi e a corrompere delle guardie del KGB. Ci sono state anche delle false piste: nel tempio dei Caduti e Dispersi in Russia a Carniaco del Friuli, consultando un volume ho scoperto il nome di mio padre, ma nel 2011 non sono riuscita a risalire alla fonte di queste informazioni. Dalle ultime ricerche sembrerebbe che mio padre sia sepolto nel cimitero militare campale di Konovalov, vicino 7 km a Meskoff, da dove veniva la sua ultima lettera e dove riposano alcuni bersaglieri.
Ne è valsa la pena?
Non posso, non devo e non voglio dimenticare. E non voglio che altri lo facciano: dopo essere stata nominata Cavaliere della Repubblica Italiana, sono dal 2000 presidente della sezione di Cassago della UNIRR, Unione Nazinale Italiana Reduci di Russia, nel 2008 infine ho pubblicato un libro dal titolo “Tuo Bruno” che raccoglie le lettere e la storia di mio padre. Mio marito, da poco scomparso, mi è sempre stato vicino in questa ricerca: capiva il mio bisogno di sapere. Una necessità che mio fratello non ha mai condiviso: l’unico ricordo che Corrado conserva del padre è uno schiaffo, inoltre vedeva la mamma soffrire ogni volta che chiedevo spiegazioni. Io invece non ho ricordi, ma è come se per tutta la vita avessi sentito la sua presenza al mio fianco: immagino il nostro incontro, un giorno, mi dirà «Menomale che sei arrivata!» e io, nel silenzio più totale, vorrei solo abbracciarlo.
Chiara Vassena