TEATRO/SOGNARE IL FUTURO
CON STEVE JOBS AL PALLADIUM

LECCO – La stagione teatrale 2021-2022 prevede una breve mini-rassegna dal titolo “Istruttori di volo”, rivolta soprattutto a un pubblico di giovani, allo scopo di scuoterli e farli “decollare”, mostrando che con grande dedizione e forza di volontà è possibile anche volare. A inaugurare il progetto, mercoledì 9 febbraio è Io, Steve Jobs, scritto, diretto e interpretato da Corrado d’Elia, un esperto nell’arte di ricreare sulla scena la vita dei Grandi.

È un peccato che i giovani in sala fossero pochi, perché il taglio teatrale scelto è interessante, per nulla statico, nonostante D’Elia resti per tutto il tempo su uno sgabello, con una cuffia in testa e dietro a un banco che simula la consolle di una radio: impersona l’ospite di eccezione a una trasmissione immaginaria, cioè Steve Wozniak detto Woz, amico di Jobs e co-fondatore dell’Apple.

Il racconto ci immerge nel clima creativo della California anni ’70: sole, surf, aria di libertà. E la musica, sottolineata da una pervasiva colonna sonora: dagli Aerosmith a California Dreaming, Procul Harum e Bob Dylan, accordi di chitarra subito riconoscibili, batteria che scandisce i battiti rullanti della giovinezza, oppure ballate trascinanti che tracciano i contorni di un sogno.

L’espediente drammaturgico funziona: Steve narra Steve. Un mago dell’informatica racconta Steve Jobs incontrato per caso a scuola, con quella sua “faccia da saputello e irriverente”, perennemente annoiato dalle lezioni, dal sistema, con la mente che corre avanti. L’amicizia nasce dalla passione comune, fra i microprocessori e i circuiti degli esperimenti nella tana-garage. La prima tappa è “disfare il mondo”, trovare cioè vie alternative a quella ordinaria e non accontentarsi mai, per non finire come i grigi adulti borghesi che “non sanno fare niente”. Naturalmente il mondo di fuori filtra anche nella tana: Jobs fuma hashish, ascolta Bob Dylan, è sedotto dalle filosofie orientali e andrà perfino in India per qualche mese, salvo poi scoprire che laggiù “non c’è niente che non ci fosse già qui”. Ma l’attrazione per l’informatica è una forza magnetica irresistibile.

“E così, così, così”, è un frequente intercalare di Woz, che racconta conservando intatta la fiamma dell’entusiasmo, quasi incredulo lui stesso di essere stato co-protagonista di questa impresa incredibile. Le frasi si allungano in esplosioni di gioia, urla e braccia alzate nel trionfo, e il tappeto musicale restituisce il ritmo dell’avventura. Interessante è la prospettiva del “noi”: d’Elia non vuole costruire un’agiografia di Steve Jobs ma ricostruire l’atmosfera da cui è nato quel sogno condiviso, la forza della determinazione di quei ragazzi un po’ strani, pallidi pipistrelli che coltivano una passione demiurgica: creare da zero qualcosa di completamente nuovo.

Le rivoluzioni si devono fare a vent’anni (celebri geni ventenni furono Einstein, Darwin, Michelangelo), e il primo aprile 1976 nasce Apple, una “mela” che aprirà le chiavi di un altro mondo. Il marchio in breve diventa sinonimo di qualità, cura nei dettagli innovativi, “mela della conoscenza”, “macchina dei sogni”. E quando verrà quotata in borsa, i guadagni schizzano fino a sei zeri!

La ricetta per il successo è la lungimiranza certo, ma anche dedizione, lavoro, fatica e Steve Jobs, con il suo carattere eccentrico, spigoloso, cinico e brusco, se è un dio con circuiti e macchine, nei rapporti interpersonali è un disastro: rifiuterà a lungo di vedere la figlia. Forse per paura, o perché teme il ruolo di padre, visto che a sua volta era stato abbandonato dai genitori biologici?

La vita riserva alti e bassi. A metà degli anni Ottanta avviene la clamorosa uscita di Jobs dalla Apple, che però si ripiega su se stessa come un pachiderma privo di energia e dopo una decade ecco che Jobs ritorna, con quella sua vista speciale per cui “vede dove nessuno ancora vede”, ed ecco che sforna i-mac, i-tunes, i-pod, i-pad e i-phone, con quella i prefissale che significa certamente “internet”, ma ha anche il messaggio prepotente e identitario di “io”, questo oggetto sono io, mi rappresenta, perché “è stato prodotto da divinità per altre divinità”.

Sulla scena spoglia si leva un parallelepipedo. Fa pensare al monolite di 2001 Odissea nello spazio e quindi all’ansia della scoperta, ma durante la storia dei due Steve si illumina: sono piccoli rettangolini, che simulano la tastiera, i microprocessori dei grandi pc di un tempo, e infine la misura snella degli attuali cellulari digitali. Jobs è colui che ci ha portati con una falcata alle potenzialità di un futuro impensabile soltanto alcuni decenni prima.

Il finale è tristemente noto: nel 2011 il genio si spegne stroncato da un cancro. Ma D’Elia ricorda il suo famosissimo discorso agli studenti della Stanford University: anche la morte è uno stimolo alla creazione, perché il tempo è limitato, non va sprecato. “Stay hungry, stay foolish”: questo è il senso della vita.

Gilda Tentorio