LECCO – Folto pubblico martedì sera al cineteatro Palladium, per applaudire le attrici comiche Marina Massironi e Alessandra Faiella, questa volta impegnate nella dark comedy Rosalyn. Lo spettacolo (tre anni di repliche) conta su interpreti effervescenti e sulla regia di Serena Sinigaglia, precisa e attenta al ritmo incalzante. Il testo di Edoardo Erba possiede un’architettura compatta e ben congegnata, la trama è mossa e avvincente: infatti il linguaggio strizza l’occhio al cinema, con impennate improvvise di tensione, scambi di ruolo e colpi di scena.
Sul palco, una sedia e un pavimento inclinato, a cui mancano alcune piastrelle ai lati: questi bordi assediati dai buchi del vuoto rappresentano anche in un certo senso la nostra percezione della realtà. Pensiamo di aver compreso tutto in un disegno unitario, ed ecco che qualche anello non tiene e l’intera visione crolla, pronta addirittura a capovolgersi nel suo contrario.
Due piani temporali continuano a intersecarsi: l’oggi è caratterizzato da luci a cascata sulla protagonista, costretta sulla sedia durante l’interrogatorio presso la polizia di Detroit. Esther O’Sullivan (Faiella), scrittrice di best-seller fiera del proprio successo, è stata convocata in commissariato per una bizzarra coincidenza: la sua penna stilografica è stata ritrovata… nel risvolto dei pantaloni di un cadavere rinvenuto a Toronto! Ma come si può ricordare dove e quando abbiamo smarrito una penna? E come è possibile accusare lei, così famosa, di omicidio? Esther è convincente, la logica sta tutta dalla sua parte, le sue argomentazioni controllate e ironiche, arrivano a definire una situazione a dir poco assurda. Però, mentre nega e dice di non ricordare, le luci di smorzano e nella scena invasa dal fumo subentra il tempo della memoria.
Quattro anni prima Esther si trovava a Toronto per presentare il suo ultimo libro. Qui ha conosciuto per caso Rosalyn (Marina Massironi), una goffa e ingenua donna delle pulizie. Dopo il primo imbarazzo, pur essendo tanto diverse, le due donne si legano in un rapporto di amicizia, o forse qualcosa di più. La scrittrice ammira la spontaneità di Rosalyn, che rumina il chewing-gum, parla in slang e ha un candore disarmante dovuto alla sua semplicità. Rosalyn a sua volta è affascinata dall’altra, soprattutto dopo aver letto il suo libro, che invita a scoprire la “vera natura” che è in noi: “Desidera, senti, vuoi, fai quello che ti viene dalla pancia“, è il motto di Esther. Insieme visitano Toronto, le cascate del Niagara, si confidano a vicenda. Finché…
Ecco il primo colpo di scena: Esther non regge più alle pressioni dell’interrogatorio e dichiara: “Io volevo solo fare il giro della città con una del posto. Come potevo immaginare che aveva nel bagagliaio il cadavere del suo amante? Se la gente credulona e ignorante legge i miei libri e poi compie dei delitti, non potete certo incolpare me“. La prospettiva comincia a cambiare. Rosalyn, galvanizzata dal libro dell’amica, ha avuto il coraggio di rifiutare l’amante violento e di ritrovare la sua “vera natura” con un atto liberatorio: con l’omicidio però ha superato il limite dell’etica. Eppure Esther si fa sua complice e la aiuta a seppellire il cadavere. Una “missione” di liberazione femminile che ricorda per certi versi la vicenda di Thelma&Louise, ma è priva di quella purezza di intenti e si tinge di torbido. Qualcosa nell’amicizia delle due si è incrinato e i ruoli si capovolgono: ora a comandare è Rosalyn, dominatrice magnetica e calcolatrice, capace perfino di ricatto.
Ancora una volta la prospettiva cambia, in un imprevisto gioco di specchi, che si conclude con la lenta vestizione rituale di Esther nella tuta arancione dei detenuti di un manicomio criminale. Con un’espressione di sfida e da femme fatale, Faiella pone il sigillo agghiacciante alla vicenda: lei rappresenta l’inconscio, la nostra parte dark e inconfessabile che, repressa, può a un certo punto esplodere.
Una storia dalle dimensioni “liquide”: il quotidiano sfuma nell’assurdo, il comico confina con il tragico, i ruoli si confondono. Ciò che resta saldo è la condanna della violenza. E infatti lo spettacolo è associato alla campagna di sensibilizzazione della onlus Global Humanitaria: troppe donne sono succubi di compagni brutali, invischiate in rapporti di forza basati su percosse, violenze fisiche e psicologiche, ciò che di più lontano esiste dall’amore. Per una vera “liberazione”, la vittima non deve farsi carnefice, ma affidarsi alla solidarietà e all’aiuto di chi sta intorno.
Gilda Tentorio