TEATRO: CON I “RIMBAMBAND”
MUSICA, RISATE E FOLLIA

LECCO – I Rimbamband, gruppo comico e teatral-musicale di origini pugliesi, hanno portato ieri al Palladium di Lecco il fortunatissimo spettacolo Manicomic. Incontenibili e scatenati sul palco, scendono anche in platea per giocare con il pubblico: prendono di mira la signora della prima fila, il signore senza capelli (“per noi calvi la vita è un calvario”). Cercano insomma il contatto, le risate, gli applausi e la sintonia ritmata di mani e piedi… Il premio è dieci minuti di applausi e la ressa per l’acquisto delle magliette con il logo della band.

“Cinque esilaranti suonatori-sognatori un po’ suonati incantano, creano, emozionano, demistificano, giocano: Rimbambini cresciuti a pane, swing e fantasia!”: così si presentano sulla pagina Facebook. L’idea è di far ridere in musica.

“Manicomic”, per la regia di Gioele Dix, è uno spettacolo di “follia canterina”. Si apre con citazioni filmiche (proiettate su un wall in led), che interpretano il tema del “manicomio” superando gli stereotipi: il talentuoso Jack Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo cerca di convincere i compagni della loro non-follia (“i pazzi sono quelli che vi tengono rinchiusi qui”), il surreale numero di Renato Rascel (È arrivata la bufera). Ma c’è anche la follia della guerra (la marcia dei giovani soldati di Full Metal Jacket), alternata alla leggerezza danzante di Fred Astaire. Un collage semiserio che dà il la a una scorribanda comica per ridere delle nostre follie quotidiane, perché “da vicino nessuno è normale”, come recita un vecchio adagio.

Un medico (Raffaele Tullo) si affanna attorno a quattro pazienti ribelli e indisciplinati con improbabili esercizi di terapia collettiva. Regina di ogni cura è la musica: Francesco Pagliarulo “il Rosso” con personalità bipolare è alla pianola; Nicolò Pantaleo pazzo di una antica ferita d’amore per una donna napoletana è al sax; Vittorio Bruno al contrabbasso ha problemi di dipendenza dall’alcol; l’istrionico Renato Ciardo, batteria, pensa di essere Al Bano o Celentano. Si inizia con Sing sing sing di Benny Goodman, perché il ritmo è condivisione e anche disciplina, ma i pazienti lo trasformano in limbo, mambo, canzoni napoletane, in una girandola musicale che travalica gli strumenti tradizionali: c’è un duello con bacchette e piatti a mo’ di scudi, una melodia di campanelli, pianole a bocca con palloncini, il ritmo sostenuto sui palleggi dei palloni e perfino sui sacchetti di plastica!

Tutto è energia e musica, questo è il messaggio dei Rimbamband. E infatti ogni fantasiosa terapia è un pretesto per introdurre un nuovo brano e solleticare la memoria. La elioterapia scatena un cabaret di mimi e imitazioni (basta un cappello o un paio di occhiali, ed eccoti servito Mike Bongiorno, Franco Battiato, Stevie Wonder o addirittura Andreotti), l’ippoterapia dà la miccia a un tip tap scatenato, mentre lo “psicodramma” dà sfogo a sketch surreali e frizzante comicità: battute anche impertinenti, doppi sensi, giochi di parole (“Sedatevi!” per “sedetevi”).

Non mancano invenzioni tecnologiche: lo schermo dialoga con i personaggi e li trasforma addirittura in cartoni animati. I momenti migliori, che strappano qualche “oh!” di stupore al pubblico, sono quelli delle canzoni a cappella, con accompagnamento musicale minimale (mani, schiocco di dita) e le gag comiche con il sapore antico dei mitici Stanlio e Ollio, i numi tutelari di questi poeti teatrali della canzone, che infatti ci salutano con una Honolulu Baby eseguita su ukulele.

È una girandola instancabile di trovate sempre nuove, perché insomma questi sulla scena sono dei matti. O forse no? Il colpo di scena finale rivela che a contare è la ricerca della felicità, come ribadisce la splendida esecuzione di Happy di Pharrell Williams (scelta non a caso, grazie al suo incipit: “It might seem crazy what I’m about to say”).

I Rimbambini, come amano chiamarsi, ci insegnano che una risata salverà il mondo, con l’aiuto della musica e un pizzico di follia.

Gilda Tentorio