RUBRICA, IL RACCONTO.
LA DANZA DELLA PIOGGIA

LECCO – Prosegue la nuova rubrica dedicata ai racconti. Ci accompagna settimanalmente la penna di Antonella Straziota, autrice di Malgrate specializzata in storie e favole per bambini, che ogni mercoledì proporrà una sua opera originale.

Se volete pubblicare un vostro testo (per l’infanzia o meno), inviateci brevi racconti alla mail di Lecco News.

Buona lettura.

 

LA DANZA DELLA PIOGGIA

Rana che abbaia era il capo indiano dei Cavalieri del Tibet, ultima tribù rimasta nel mondo, che era sopravvissuta, proprio perché emigrata in Asia. Un giorno (era un periodo di caldo afoso), stanco del sole che inaridiva sempre più la terra rendendo difficile reperire un po’ di cibo, cominciò a fare la danza della pioggia.

Era lì che ballava, dimenandosi sempre di più, quando gli si avvicinò, incuriosito, un burattino. “Che fai?” gli chiese. Rana che abbaia gli rispose che cercava di aiutare Madre Natura ad allontanare la carestia di cibo. “Bello!” disse il burattino “Lo farò anch’io!” e si unì al capo indiano nella sua danza.

Erano lì che ballavano da poco meno di dieci minuti, quando si udì un frastuono assordante. Rana che abbaia pensò che gli Dei avessero esaudito le sue preghiere e che fosse un tuono che preannunciasse un bel temporale… ma fu presto deluso. Infatti, di lì a poco apparve un signore barbuto che acciuffò il burattino per le gambe e gli urlò “Mi avevi promesso che saresti andato in giro a reperire gente per il nostro spettacolo e invece ti trovo qui a ballare come uno stupido!”

Nell’udire quelle parole, il capo indiano si indignò e rispose all’energumeno barbuto: “Mi scusi se mi intrometto, ma il qui presente burattino non sta facendo nulla di stupido, anzi… mi sta aiutando a fare arrivare un po’ di pioggia che possa allentare un po’ di afa e rendere fertile la terra.”

Proprio in quel momento una goccia di pioggia scese a bagnare il viso di Rana che abbaia, che ebbe un’idea. Fece quindi una proposta al burattinaio: gli disse che avrebbe assistito al loro spettacolo se in cambio lui, il burattino e tutta la compagnia, fossero restati un paio di giorni con lui e la sua tribù.

Il burattinaio, che era molto opportunista (sperava che così facendo la sua compagnia avrebbe avuto un po’ di pubblicità), acconsentì e così la compagnia di burattini di Pamplona si trasferì nella tribù dei Cavalieri del Tibet per un paio di giorni.

L’inizio della convivenza fu davvero difficile: gli indiani guardavano i burattini e il burattinaio con diffidenza e viceversa. Così il capo indiano, preoccupato dei rapporti fra i Cavalieri e i suoi ospiti, pensò che sarebbe stata un’ottima idea quella di lasciare che i burattini mostrassero agli indiani il loro spettacolo.

L’esibizione però non ebbe un gran successo, anzi: sui protagonisti dello spettacolo ricaddero pezzi di carbone ardenti raccolti direttamente dai calumet che gli indiani fumavano! Disperato, Rana che abbaia ammise la propria sconfitta. “Ok, ok, lo ammetto… la mia è stata una vera e propria utopia: come ho potuto pensare che persone dalle abitudini tanto differenti potessero andare d’accordo?”

Decise così di lasciare andare i burattini di Pamplona per la loro strada, promettendo, però, che avrebbe fatto loro pubblicità. Mentre il burattinaio stava andando via, però, fu colpito da un’orchidea, che, isolata, era cresciuta su un pezzettino di asfalto. Questo fiore gli fece pensare che non sarebbe stato male cercare di vivere una nuova vita, lì nel Tibet, ed annunciò a tutta la compagnia la novità: “Da domani, cari i miei burattini, i nostri spettacoli non si baseranno più sulle corride, ma prenderanno spunto dai Cavalieri del Tibet, che riescono a far crescere le orchidee anche in mezzo al cemento!”

Furono tutti contenti, tranne il burattino che aveva nello spettacolo rivestito il ruolo del torero: “Ma io che farò d’ora in poi?” chiese, sgomento.

A quel punto Rana che abbaia, che aveva assistito alla scena e al discorso, commosso, rispose al burattino: “Tu, d’ora in poi, diverrai il mio capo mandria!”

E fu così che gli Dei, finalmente, decisero che, ora che tutti avevano imparato una lezione di vita, potevano porre fine a quel periodo di caldo torrido.

 

Antonella Straziota
Nasce a Bari nel 1971, laureata in scienze politiche, da dieci anni vive a Malgrate.
La sua passione è scrivere per diletto, e grazie alla sua immaginazione scrive racconti per bambini.
È autrice dei libri “Favole e… favole” e “Natale con fantasia” pubblicati in self-publishing, e della collana “Ai e Sil alla ricerca della sicurezza perduta” (raccolta di sei libri per bambini sul tema della sicurezza), pubblicato dalla casa editrice AIESiL. Ama la natura, la lettura, i gatti e fare passeggiate.


LEGGI ANCHE

RUBRICA, IL RACCONTO. I GEMELLI TESTA E CUORE

> QUI ALTRI RACCONTI