MEDITAZIONE DON G. MILANI
NELL’ULTIMA DOMENICA
DOPO L’EPIFANIA

Così come è stato ritagliato il capitolo 15 di san Luca, ci presenta la narrazione di tre parabole che, per solito, diciamo: della pecorella smarrita, della dracma perduta e del figliol prodigo. Nelle due prime c’è un finale circa la gioia in cielo per la conversione dei peccatori, manca nella terza pur se presenti mira ben più alta della compiaciuta gioia celeste: quella di parlarci della misericordia nell’amore del Signore sempre primo e aperto alla nostra debolezza. A tema dunque, molti lo rilevano, non è tanto il figlio minore, il prodigo, è piuttosto “il padre misericordioso”, immagine diretta del Padre dei cieli. La narrazione ci presenta due figli che nell’acuta descrizione del Signore Gesù riproducono realtà, sì del suo tempo, poi ancora di sempre, pure del nostro. Ci mostrano categorie: “peccatori” e “giusti” tali che abbiamo anche noi a rifletterci, non come realtà lontana, ma facilmente pertinente anche a noi. La pretesa di giustizia, fa tanto più difficile sapersi accostare all’amore del Signore; troppo facile volgersi subito al giudizio su chi non sia come noi: scribi e farisei rischiamo portarli dentro noi stessi.

La narrazione ci è arcinota: il giovane chiede “la parte del patrimonio che gli spetta”. Subito ci par sconveniente, atteggiamento d’arroganza: non era, almeno solo, così nella realtà attorno a Gesù: il Signore riporta condizione non insolita nella sua Palestina povera di risorse; certo, riprovevole non abbia poi messo a frutto ma sperperato: nella parabola è piuttosto a sottolineare distanza dal fratello, il qual altro, “non ha mai disobbedito ad un comando” del padre (quanto è facile qui si possa creder ritrovarci); si dà comunque riflessione a chi si senta troppo allineato con la giustizia tanto da muover attenzione piuttosto a sé, che al Padre misericordioso.

Vediamo il ‘prodigo’, come l’appelliamo sempre, più che pentirsi “ritornare in sé” per ritornare, nel suo residuo senso di giustizia, al padre in una condizione non più di figlio, ma di “salariato”. (È da dire, in memoria storica, che questa condizione – a dispetto della nostra sensibilità – era più bassa di quella dello schiavo che apparteneva alla famiglia). Ma il padre non percorre una tal giustizia, ma ama: è nell’insegnamento di Gesù immagine del Padre che è nei cieli ed aspetta tutti noi. Perché il perdono (l’amore di Dio) non ha neppure bisogno del pentimento del colpevole per attivarsi. Con acutezza Giovanni Climaco scrive: «La conversione è figlia della speranza e rinnegamento della disperazione». Il Signore sa generare, col suo perdono il pentimento, perché è l’amore che aiuta e suscita il cambiamento interiore. Lascio poi tutta la considerazione sull’altro fratello, il maggiore, certo immagine del popolo eletto d’Israele, ma quanto anche richiamo a noi stessi! 

 

Don Giovanni Milani