In questa domenica, un poco in esclusiva, secondo una nostra antica tradizione liturgica, ci è presentato il quarto segno epifanico, che, se non ci pensi bene, non riesci a riconoscerlo appieno: non è tanto la potenza divina del miracolo, piuttosto l’allusione al continuo esser disponibile a noi, farsi cibo quotidiano nel pane dell’eucaristia che manifesta, non nel puro momento storico della vita di Gesù, è il senso profondo del dono, del suo mistero. Dal vangelo di Marco, che è più ricco di dettagli, apprendiamo che il Signore avrebbe voluto prendere un po’ di riposo per sé e i discepoli arrivati dalla missione, quando le folle “vennero a saperlo”, lo scoprirono e “lo seguirono”: fine del progetto di riposo. Subito “egli le accolse”. Gesù ne interpreta la fame vera, che, da principio, non è ancora fisica e si mette a disposizione col “parlare loro del regno di Dio e a guarire”.
La folla, non era certo scarsa: cinquemila, aveva camminato a lungo attorno al lago (ce lo dice Marco) l’aveva raggiunto “in una zona deserta” per saziarsi il cuore in quell’incontro così cercato; ma lo scorrere delle ore ormai avvicinava la notte e prima il tempo della cena, il pasto allora principale; così i discepoli avvertono delle necessità fisiche di tutti il Signore: non s’era accorto di tutto quello scorrere di tempo? La risposta par loro inaccettabile: “voi stessi date loro da mangiare”. Impossibile in quel luogo e a tanta gente con “cinque pani e due pesci”, non è umanamente possibile! Il luogo allude al deserto mosaico, il dono alla manna e ai profeti: Eliseo aveva già sopperito alla mancanza dei pani con il farne molti da pochi. Possiamo notare come la situazione non sia drammatica anche da quel “voi stessi date loro da mangiare” che i discepoli interpretano invito che si scontra con le contingenze economiche e del luogo. Questo ci invita a considerare la forza del segno, un po’ come a Cana, di sovrabbondanza, il che sottolinea il significato simbolico che si perpetuerà nel tempo della Chiesa nell’eucaristia. Facciamo attenzione ai gesti di Gesù. Prima l’invito (sempre e in tutto con la collaborazione dei discepoli) “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”: si prepara il banchetto. “Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”.
I gesti li vedremo ripetuti e consegnati sino alla nostra liturgia: c’è il riferirsi all’Alto, benedire, spezzare: tutto fortemente simbolico di sé, della sua missione di benedizione, di grazia e dono che sostiene la vita, non in senso materiale naturalmente, lo spezzarsi, l’immolarsi in sacrificio, il donarsi per mano altrui nei sacramenti che lascia alla Chiesa. Il segna è epifanico, è di manifestazione, non tanto della potenza profetico divina, piuttosto, ecco la considerazione liturgica della nostra tradizione, del senso dell’intera missione, del “mistero” di Gesù per sempre donato sulla croce e nella risurrezione all’umanità. È anche il senso della sovrabbondanza delle dodici ceste allusive al popolo, allora d’Israele, ma insieme all’umanità intera; poi al tempo: i dodici mesi dell’anno: tutto ci dice una presenza donata al popolo dei salvati, appunto ogni uomo, che copre ogni tempo; Gesù si è donato per tutti e sempre.
Don Giovanni Milani