MEDITAZIONE DI DON G. MILANI:
QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

È interessante ci sia dato leggere questo episodio della vita di Gesù qui in Avvento, fuori dal percorso temporale che sta evidentemente innanzi alla Pasqua. Il senso è di leggere l’Avvento non solo come attesa liturgica del Natale, ma propriamente come tensione verso l’incontro definitivo e glorioso col Signore. La pagina inizia con l’accurata preparazione dell’evento da parte di Gesù stesso che qui – solo qui – chiama sé stesso Signore; è evidentemente un forte richiamo di simbologia profetica quello che il Signore Gesù vuol porre in questo attinger la sua meta: Gerusalemme. Betfage è indicata dal profeta Zaccaria come il luogo dove sarebbe giunto il Signore nel giorno della sua venuta, così anche Matteo pone tutto l’episodio nel segno del ‘compimento’: “Questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta”; ne dà così la chiave di lettura.

Infatti Gesù, non tanto entra in Gerusalemme, invece va al compiersi del suo cammino terreno, la realizzazione del progetto di salvezza del Padre. Il segno profetico è di chiara regalità, non nel senso della gloria: non usa il cavallo segno di potenza bellica, né la mula dell’insediamento regale, ma l’asinello della mitezza e della saggezza profetica. Nella citazione di Zaccaria, di tre attributi, si riporta quel solo πραῢς, mite, mansueto, buono, che ci dà il significato vero del gesto profetico. L’episodio, descritto da tutti gli evangelisti, è di evidente peso nell’insegnamento di annuncio del Signore; Matteo lo mette in evidenza, come si diceva, come compimento profetico, pure non fa richiamo pieno alla gioiosa attesa della “figlia di Sion, di Gerusalemme” come è nel testo antico, solo allerta un’attenzione, un’attesa regale (“a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro figlio di bestia da soma”) C’è una marcata insistenza sulla mitezza nel compimento della missione di Gesù, che evidentemente deve essere accolta in insegnamento, ma mette conto segnalare un contrasto tra il tripudio della “folla, numerosissima” e il silenzio del Signore Gesù, che pure ha voluto e apprestato quel segno di regalità conclusiva, ha pure provocato quei segni di attenzione sino a gualdrappe e tappeti improvvisati, sino all’”Osanna” invocazione d’aiuto e di gloria.

Il Signore non cerca il segno esteriore di grandezza, vuole farci riflettere sul senso del suo venire tra noi, del divenire uomo, per l’immolarsi in quella così significativa città per tutti gli uomini. Noi pure innalziamo l’Osanna pensando di incontralo davvero il Signore, nel tempo che è ora il nostro, per quel definitivo abbraccio che a tutto darà segno nuovo realizzando la nostra speranza. 

 

Don Giovanni Milani