La nostra tradizione liturgia ambrosiana, per questa domenica, che un tempo aveva solitamente nome: “Dominica passionis in ramis palmarum” (domenica di passione nei rami di palma), da sempre conosce doppia liturgia che sottolinea: con la cena di Betania l’avviarsi della settimana di Passione (detta Autentica da noi); come pure la seconda celebrazione, quella pur pensosamente festosa dell’ingresso a Gerusalemme: entrambe le liturgie attingono al quarto vangelo, meno descrittivo di fatti rispetto ai sinottici, ma più teso profeticamente. Infatti scegliendo il testo della seconda: l’ingresso in Gerusalemme, vi troviamo solamente cinque versetti, tutti molto densi. È evidente la scelta di Gesù nella mite cavalcata verso la città santa abbia senso di richiamo profetico; quanto del profeta Zaccaria si legge nella prima lettura, anticipa con profetica descrizione l’agire di Gesù che, sul momento, pure i discepoli non sanno comprendere.
I sinottici hanno ben più ampia descrizione dei fatti materiali; Giovanni invece ne dà densa concentrazione. L’iniziativa di andare incontro al Signore, nel IV vangelo, pare addirittura della folla che con partecipazione vasta (per i farisei, “il mondo” è andato dietro Gesù v.19) lo vuole incontrare dopo il ‘segno’ di Lazzaro; il cavalcare di Gesù l’asinello parrebbe quasi improvvisato: “Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra”. Giovanni cita, nell’euforia della folla, l’agitare rami di palma che hanno certamente significato ben alto e di profetico segno liberatorio (v’è richiamo a Simon Maccabeo, ma anche, e più, l’Apocalisse ne continuerà allusione) col giubilo del salmo 118: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. La contraddizione del “Crocifiggilo” di lì a sì poco, ha fatto pensare ad alcuni ad un grido, anziché di evocazione religiosa nel giubilo messianico del salmo, unicamente di strepito antiromano: sommessamente io credo la teologia di Giovanni, non l’avrebbe registrato in quel modo.
Quanto ci è proposto, va ovviamente letto in un trionfo regale congiunto però agli imminenti fatti di “gloria”, secondo il linguaggio di Giovanni: i discepoli – già l’abbiamo sottolineato – ne avranno comprensione solo “quando Gesù fu glorificato”. C’è dunque un messaggio molto forte nella lettura di questo narrato di Gesù, ben oltre l’apparente trionfo mondano (del resto tanto effimero). Gesù è davvero trionfatore, non a sedere su cavalcature da re o troni mondani, re invece di regno più vero e stabile nei cuori che ne accolgono con fede la vittoria. Questi testi ci incamminano in tempo di così intenso rapporto col mistero di salvezza del Signore che lo chiamiamo santo: la settimana santa. Le liturgie di questa domenica accennano e mostrano desideri di festa (velati nell’atmosfera subito greve nella cena di Betania) espliciti nell’acclamata cavalcata di Gesù. Questa stessa profezia gloriosa deve passare dalla croce: non è gloria umana; l’”Ora” di Gesù è dolore e donazione totale sino all’immolazione di morte, la gloria è il trionfo dell’amore, l’amore di Dio per gli uomini.
Don Giovanni Milani