LECCO – Seicentotrenta giorni sono passati dal 14 marzo del 2014, il giorno in cui Marco Anghileri – “il Butch” – ha perso la vita sul Pilone Centrale del Frêney al Monte Bianco, nel tentativo di portare a termine la prima salita invernale in solitaria della Jori Bardill. Dopo seicentotrenta giorni Lecco lo vuole ricordare. In occasione dell’uscita del libro “La scala dei sogni” (Teka Edizioni) l’autore Giorgio Spreafico in collaborazione con l’amministrazione comunale ha voluto organizzare – ieri 4 dicembre – una serata dedicata al Butch, alla persona che era e a quello che ha rappresentato, ma soprattutto per non dimenticare che prima di quel 14 marzo “c’era stata una vita intensissima, percorsa da una storia che non è cancellata dall’evento tragico che l’ha spezzata”.
Grazie alle letture tratte dal testo di Spreafico il numerosissimo pubblico intervenuto al Teatro della Società ha potuto davvero ripercorre quello che era Marco: le sue prime scalate con il papà Aldino e il fratello di Giorgio, il suo abbandono della montagna per giocare a calcio nel ruolo di portiere e poi il ritorno sui propri passi, l’amore travolgente per l’arrampicata e la montagna, la sua montagna, la sua Grigna. E poi le scalate che hanno fatto guadagnare ad Anghileri un posto nella storia dell’alpinismo italiano e non solo: il Civetta, le Dolomiti, la salita in solitaria della quarta pala di San Lucano. E poi ancora la salita del K2 con gli Scoiattoli di Cortina, la scalata del Pesce in Marmolada e la Via dei Bellunesi salita in solitaria alla fine dell’inverno del 2012.
Ma il Butch non è stato solo un grande alpinista, è stato anche una grande persona, dotato di una straordinaria capacità di trasmettere entusiasmo a chi lo circondava. Ed è proprio per il suo entusiasmo che lo ricordano le persone che sono intervenute sul palco: il suo compagno di tante scalate Andrea Mariani lo descrive come “una persona molto entusiasta di qualunque cosa facesse”, Giovanni Spada, presidente del Gruppo Gamma a cui Anghileri apparteneva, racconta come grazie al suo carattere coinvolgente “riuscisse ad essere un collante tra generazioni diverse e un punto di riferimento per i più giovani”.
Anche il sindaco Virginio Brivio spiega come questa iniziativa voglia essere un ringraziamento “a Marco per aver coinvolto in quello che faceva anche i non addetti ai lavori, per aver restituito agli altri non solo le sue imprese ma soprattutto le sue emozioni”; mentre Alessandro Gogna manda un suo contributo con un video, per raccontare il tipo di alpinista che il Butch era: “lui le imprese le programmava in maniera precisa, da manuale, ma la scelta dell’obiettivo era sempre emozionale. Questo è il grande alpinismo che fa sognare”.
Il carattere determinato e sognatore che emerge dalle testimonianze di questa sera è stato quello che ha permesso a Marco di superare i momenti difficili della sua vita: il congelamento ai piedi dopo la salita del Civetta che lo ha tenuto lontano dalla montagna per diversi mesi, la drammatica scomparsa del fratello Giorgio per un incidente stradale e l’incidente che ha visto coinvolto proprio il Butch, nel 2001 e lo ha costretto ad un calvario di tre anni per riuscire a tornare ad arrampicare. Questi racconti, i ricordi delle persone a lui vicine, l’ascolto delle sue canzoni preferite riprodotte dal vivo, le immagini e i video di Marco mentre scala e parla della gioia di farlo, hanno accompagnato il pubblico fino all’inizio del marzo del 2014, quando il bollettino meteo della Valle d’Aosta annuncia un lungo periodo di alta pressione.
Arnaud Clavel – guida di Courmayeur – ricorda dell’sms ricevuto dal Butch per informarsi sulle condizioni del Sud del Bianco, del suo arrivo la mattina presto, del suo sacco di 23 kg che non ha voluto farsi portare neanche all’avvicinamento e del momento dei saluti, la mattina del 11 marzo “quando ho capito che Marco doveva restare solo col suo sogno: la Jori Bardill”. “Quel giorno il Butch ha raggiunto la sua prima tappa, il Rifugio Monzino – prosegue Spreafico – il giorno seguente è arrivato ai bivacchi delle Eccles e il 13 ha finalmente attaccato il pilone centrale. Quella sera ha bivaccato per la prima volta in parete e ha mandato un messaggio a casa: ‘sono nel posto più bello del mondo’. E poi più nulla. Si interrompono le comunicazione e gli avvistamenti, cominciano le ricerche e la domenica si ha la certezza”. Il suo sacco, il suo materiale resteranno per 16 mesi, fino a quando una spedizione lecchese guidata da Matteo della Bordella non tornerà lì e troverà la corda, tranciata, non sapremo mai come.
Qualunque commento sarebbe superfluo, “come recita una canzone di Baglioni che Marco amava molto – conclude il giornalista – ‘la vita è adesso’ e quanti ‘adesso’ ha vissuto intensamente il Butch e quanti ce ne aiuta a vivere seguendo le nostre passioni”.
Manuela Valsecchi