LA LETTERA/VIA LE PROVINCE,
PERCHE’ SOLO DIECI
CITTA’ METROPOLITANE?

Egr. direttore,
le Province sono le istituzioni più adeguate per dare identità e governo all’area vasta. È il risultato della ricerca “Rileggere i territori per dare identità e governo all’area vasta. Dalla mappatura del territorio nazionale una ridefinizione delle funzioni di governo intermedio”, condotta dal Censis, il prestigioso centro studi presieduto da Giuseppe De Rita che da cinquant’anni opera nel campo della ricerca socio-economica. A partire dall’introduzione si richiama la necessità di essere consapevoli che la dimensione territoriale rimarrà centrale nei destini del Paese, con o senza le Province, soprattutto in questa fase di crisi e di difficoltà, per uscire dalla quale la società ha bisogno di soggetti intermedi, capaci di cogliere le istanze locali e offrirne una rappresentazione adeguata, che abbiano attitudine alla concertazione e con la possibilità di impegnare e canalizzare risorse disponibili presso diversi soggetti, pubblici e privati.

Sul territorio la popolazione, le imprese, i servizi e le infrastrutture originano una complessa trama di relazioni, che ha bisogno di un governo di area vasta unitario e coerente, non limitato solo alle dieci aree destinate a diventare Città metropolitane. Nelle settantaquattro pagine del rapporto di ricerca si evidenzia con chiarezza che le stesse ragioni che sono alla base della scelta di costituire le Città metropolitane, come nuovo ente intermedio di governo di area vasta, valgono per la stragrande maggioranza delle attuali province. Invece, incomprensibilmente alcuni vogliono abolire le province, o privarle di reali funzioni di governo, senza considerare che “anche” per ragioni di efficacia e di efficienza queste funzioni non possono essere disperse fra i Comuni. Si pensi, ad esempio, alla gestione delle scuole superiori da parte dei circa 1500 comuni nei quali sono presenti, con il rischio concreto di perdere completamente il vantaggio dell’economia di scala che si ottiene oggi con le 107 province.

Un ricco corredo di dati e di indicatori riportati nel rapporto di ricerca porta i ricercatori a formulare tre considerazioni. La prima evidenza l’importanza e la sensatezza di avere un governo di area vasta nelle aree a “forte addensamento soggettuale”. Gli aspetti analizzati (es. dimensione demografica, densità di popolazione, relazioni funzionali tra poli e cinture urbane, densità provinciale di soggetti amministrativi) evidenziano che in molte province la dimensione metropolitana risulta perfino più marcata di quella riscontrata nei territori delle future dieci Città metropolitane.

Questa evidenza vale anche per la seconda considerazione, che riguarda il livello di “diffusione
provinciale di fattori insediativi” (popolazione, imprese, infrastrutture, servizi, ecc.), che in molte aree del Paese è decisamente elevato e richiede la presenza di un ente in grado di riconoscere le specificità territoriali e di organizzarne il funzionamento.

La terza considerazione si riferisce più direttamente al tema delle funzioni di area vasta, per le quali
emerge come assolutamente necessario un chiaro e univoco governo di area vasta, che va mantenuto su soggetti in grado di calibrare la propria azione sulla dimensione provinciale. È proprio all’interno della dimensione territoriale di area vasta che si esprimono le dinamiche più interessanti per quanto concerne i processi lavorativi, la mobilità, lo studio, la produzione, l’attrattività turistica, ecc, e le attuali province italiane contengono già all’interno dei propri territori questi processi e dunque sono il livello istituzionale più adeguato per interpretarli e organizzarli. Ma il funzionamento dell’area vasta non si può limitare ad una semplice sequenza di atti amministrativi, pensati sulla base di più o meno asettici automatismi da soggetti che operano in aree differenti da quelle in cui quegli atti devono essere applicati. Ad esempio, gestione, manutenzione e adeguamento della rete stradale provinciale possono essere avulsi dalle scelte di sviluppo di un territorio, quindi dal tessuto insediativo, dalle scelte urbanistiche, dall’evoluzione dei settori e delle aree produttive, dalla dotazione e localizzazione dei servizi, dalle relazioni fra i territori, dalle politiche dei trasporti, dal pendolarismo, e così via? La risposta è no, e poiché gli effetti di queste scelte non sono neutre, è bene che a compierle siano istituzioni elette e controllate dai cittadini del territorio a cui quelle politiche sono destinate, scongiurando i deleteri particolarismi.

Anche il contributo di ricerca del Censis, appena sintetizzato, come la recente audizione della Corte
dei Conti al Parlamento sugli aspetti finanziari, dimostra l’insensatezza dell’abolizione/riordino/
svuotamento delle province. Purtroppo le conseguenze del disegno di legge del Ministro Delrio, giudicato da ampi settori della cultura giuridica e amministrativa un pasticcio, rischiano di diventare assai gravi e pur essendo difficile attendersi cose giudiziose nella situazione politica attuale, benché abbondi l’istituzione di commissioni di saggi, abbiamo il dovere di informare pacatamente i cittadini e auspicare che il Ministro Delrio ammetta il populismo del proposito del Governo e dimostri saggezza, questo sì, ascoltando gli studiosi e spiegandoci perché sono previste solo 10 città metropolitane.

Francesco Mazzeo
Dipendente della Provincia di Lecco e membro della Rappresentanza sindacale unitaria