DON GIOVANNI MILANI MEDITA: QUINTA DOMENICA DOPO LA PENTECOSTE

Il brano che ci è proposto segna, possiamo dir così, il limite della prima parte del vangelo di Giovanni, il cosiddetto libro dei segni (dove il Signore Gesù esercita il suo mandato, appunto con i “segni”, quelli che noi chiamiamo abitualmente miracoli): in quell’annuncio e nella predicazione si rivolge a tutti; poi, nel “libro dell’ora” o “della gloria” come anche è detto, saranno piuttosto i soli discepoli, gli apostoli, ad accogliere i suoi ultimi e più intimi messaggi. 

L’annuncio dell’ormai esiguo suo rimanere nel mondo è espresso soprattutto in termini simbolico-profetici, innanzitutto quello della luce, dapprima anche più intenso, e si fa esortazione a credere (“Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”). 

Il richiamo che segue, ad Isaia, non è giustificazione dell’incredulità, dice piuttosto la grettezza interiore. Pare quasi che la ragione dell’incredulità stia nell’incapacità di spalancarsi alla grandiosità del rivelarsi di Dio, oltre che, come è detto poi, l’amore della gloria degli uomini preferita a quella di Dio. 

Gesù è “venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede (…) non rimanga nelle tenebre” è infatti la stessa luce e presenza del Padre che lo ha inviato nel mondo (“Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato”). 

Chi ascolta le parole del Signore Gesù e non le osserva, non trova in lui condanna; dichiara infatti di esser venuto nel mondo per salvarlo, non per condannarlo, tuttavia è proprio la parola che “lo condannerà nell’ultimo giorno”. 

Il continuo riferimento del Signore Gesù è al Padre: è lui che l’ha mandato, è lui che “ha ordinato di che cosa parlare”. 

Questo continuo richiamo al Padre, alla missione che il Padre gli ha affidato, ci vuole mostrare come l’incontrare Gesù diventi determinante, perché evidentemente, l’accoglienza o il distanziarsi e rifiutarlo, non è semplicemente accettare o respingere l’uomo Gesù, significa invece più profondamente accoglienza e incontro o, di contro, distanza e riprovazione nei confronti dello stesso Padre. 

La parola – che viene dal Padre ed è annunciata da Gesù – porta un giudizio che opera; non perché Dio giudichi, è l’uomo che ascoltando la parola e rifiutandola porta sé stesso ad essere giudicato “nell’ultimo giorno”. 

L’intimità con il Padre, continuamente richiamata, se riguarda certamente, in modo proprio e stretto il Signore Gesù; sollecita e tocca, in qualche modo, anche lo stesso discepolo che ne acquista la luce e diviene figlio della luce.

 

Don Giovanni Milani