DON GIOVANNI MILANI MEDITA: OTTAVA DOMENICA DOPO LA PENTECOSTE

È indubbio che ci meravigli, forse anche ci urti almeno un poco, la domanda dei due figli di Zebedeo, ancor più se abbiamo letto i versetti precedenti che riportano la terza predizione della passione. Alla prima Pietro aveva provato a distogliere Gesù da quell’annuncio: qui i due fratelli – che con Pietro ci parevano privilegiati d’intimità col maestro –; forse, nel ripetuto tenerli vicini, condurli con sé alla casa di Giairo e sul monte, ci si mostra una particolare cura che il Signore dedica loro. 

La narrazione evangelica ci mostra subito che si può andar dietro Gesù senza capirlo e seguirlo nel suo insegnamento vero. La richiesta dei due è secondo l’attesa ebraica di un Cristo glorioso: seguirlo così dà gloria, evidentemente non quella del Figlio dell’Uomo. 

Gesù non rimprovera, ma insegna: a loro, ai discepoli tutti, a noi. È buono il desiderio di seguire il Signore, non certo però a farne strumento della propria gloria. 

La gloria che pretendono i discepoli (i due figli di Zebedeo, poi ancor tutti, come istintivamente anche noi) la dice bene Paolo è κενοδοξία gloria vuota, vanagloria; la gloria vera è quella che dà la vita. 

Il desiderio che i due esprimono – ed è anche tanto istintivo a tutti, anche a noi, come vediamo nel recriminare degli altri discepoli – è l’autoaffermazione sino a fare di Gesù proprio strumento. Più volte nei vangeli troviamo tra i discepoli (ed è tanto facile leggerlo per noi) come si discutesse chi tra loro fosse il maggiore: l’incomprensione più che del pensiero è addirittura dell’istinto, diremmo esistenziale. 

Gesù per educare fa la domanda che tende a porre riflessione: “Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Benché non capiscano davvero, sono convinti di poterlo ed infatti, come annuisce il Signore, Giacomo sarà il primo apostolo a subire il martirio e il fratello Giovanni l’ultimo a dare la sua testimonianza. 

Gesù a tutti i discepoli, ed evidentemente a noi, indica la sua via dell’essere primi sul suo esempio, mostrato prima nei segni: il lavare i piedi ai discepoli, poi nel dare sé stesso sino al sangue; mostra il servizio, fino alla servitù dell’essere schiavo di tutti. 

Il Signore invita anche noi al primato, non certo quello mondano che vediamo tanto spesso, come fa esempio lui stesso, nei governanti (Gesù dice significativamente οἱ δοκοῦντες ἄρχειν “coloro i quali sono considerati governanti”, ma meglio: “sembrano governare”) che “dominano e opprimono”. 

Per seguire il Signore dobbiamo certo imparare ad essere umili e attenti, di garbo sensibile per chi ci è attorno, per “tutti”. 

Ce ne dia lui capacità.

 

Don Giovanni Milani