Le poche righe di vangelo che ci sono proposte alla riflessione nella liturgia di questa domenica, fanno seguito alla narrazione dello spezzare i cinque pani e i due pesci per i cinquemila in quel luogo appartato: ricorderete che il Signore Gesù vi aveva condotti gli apostoli al loro ritorno, ma poi aveva ceduto al desiderio della folla accogliendola in quello stesso luogo “in disparte, verso una città chiamata Betsaida”; è probabilmente proprio lì che si trova a pregare. Ai “discepoli che erano con lui” Gesù “pose” “questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?»”. La domanda ricalca il modo proprio, lo stile dei rabbini ad innescare riflessione ed insegnamento. È un interrogativo che già abbiamo trovato, è però stimolante osservare come il Signore, non sia interessato a quanto pensino i maggiorenti, quelli che contano e fanno opinione, ma la gente, la gente comune; questa, per quel tempo, la novità che indica ben chiaramente gli interessi del Signore. L’interesse, è evidente, sia di saggiarne l’orientamento: il popolo – contrariamente ai gran Sacerdoti, ai Capi del popolo e agli studiosi Farisei – ha buona intuizione, è sulla strada giusta, si volge però ancora al passato per interpretare quella figura così singolare del Signore Gesù. Gli apostoli riferiscono opinioni – le abbiamo già trovate riportate ad Erode – che non sono confronti, ben più: si orientano e indicano presenze profetiche, le più illustri, fin tornate dai morti, con alone di sacro e di mistero. Allora Gesù, saggia anche i suoi, pone loro lo stesso interrogativo: “Ma voi, chi dite che io sia?”; subito Pietro: “Il Cristo di Dio”.
La risposta è centrata, ma rivela probabilmente, un senso unicamente di fierezza trionfale: cristo, consacrato è richiamo a Davide, l’atteso re messianico: Gesù, non disapprova: c’è verità, non la sola né la più importante: non dice il modo di quella regalità. Impone – per allora – il silenzio e, come i maestri del tempo, dà insegnamento più pieno e vero sul Cristo con quell’annuncio che certamente disorienta. Non usa la stessa parola: Cristo; ma sostituisce il termine con “Figlio dell’uomo” (così umilmente significativo). “Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Quel silenzio imposto ha valore di invitare a riflessione, più che sentirsi partecipi di una grandezza che riprende unicamente l’antico: il Signore Gesù reca certamente una novità, una novità radicale che non si legge nelle esteriorità gloriose di auge popolare, ma nel sacrificio per il popolo. I discepoli dovranno fare ancora lungo cammino di riflessione e di grazia per diventare davvero apostoli presso il popolo ad annunciare la novità radicale del risorto. Gesù non è tra noi solo ad usare la potenza di Dio nei miracoli: porta un regno nuovo, certo di trionfo, ma sulla morte radicale, sul male, il peccato con il sacrificio del proprio corpo, di tutto sé stesso, non a cercare successi di popolo.
Don Giovanni Milani