DON GIOVANNI MILANI MEDITA
NELLA SESTA DOMENICA
DOPO LA PENTECOSTE

D’acchito viene il confronto con le beatitudini di cui parla Matteo che sentiamo – forse un poco superficialmente – più poesia di contro alla rudezza di quanto ci riporta qui Luca. Il primo vangelo ne ha ben nove di beatitudini che indicano – richiamiamo a memoria – piuttosto condizioni spirituali, mentre qui, nel vangelo di Luca, il discorso è diretto, seconda persona: “voi!”, a designare piuttosto i discepoli che hanno seguito Gesù; il brano inizia proprio così: “Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva…”. Beati (ma anche un poco il contrappunto dei guai) è espressione che troviamo sovente nel mondo antico d’Israele – pensiamo alla prima parola del Libro dei Salmi: “Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi…”, ma quanto spesso nei profeti! Termine carico di forza e speranza che implica approvazione e promessa di intervento da parte di Dio. Ricordiamo come le beatitudini di Gesù sono rivelazione ed annuncio, non tanto portano giudizio morale, quanto esprimono valore e tensione al Regno; il regno che ognuno ha da cercare primo. Non è la povertà in sé stessa che fa beati, ma è condizione che permette, in quella – certo, umanamente non facile – libertà dalle cose, dal possesso; di discernere e desiderare il Regno che il Signore Gesù afferma già loro: interessante è notare come in questa prima (e principale) beatitudine si affermi il possesso presente, non futuro, del Regno: fame, sete, pianto saranno rivolti in bene ed il disprezzo “a causa del Figlio dell’uomo” avrà ricompensa; ma già adesso il regno è possesso dei poveri: i piccoli, i fragili che, lasciando tutto, già aspirano ed hanno ottenuto il Regno.

Poi seguono i “guai”; anche questo termine, non sconosciuto alla profezia, non deve esser inteso come maledizione, piuttosto avvertimento a quanti credono il denaro, la sazietà, l’allegria e l’approvazione mondana, sicurezze su cui contare. L’espressione già nell’antico, nei profeti, aveva sfumatura sin quasi ironica verso queste effimere certezze che fanno capo all’orgoglio e alla condizione dell’uomo che sembra felice nel mondo. A beatitudine e richiamo Gesù aggiunge l’insegnamento diretto e rivoluzionario dell’amore dei nemici con esemplificazione vibrante e paradossale a far intendere bene la portata dell’amore che è di sua natura rivolto all’altro, è effusivo di sé, non si attiva per un bene ricevuto, ma offre bontà a prescindere da quanto ricevuto. Il nostro brano finisce con un’esortazione che ci fa pensare a partire dal desiderio di bene che ciascuno tiene in cuore in aspettativa di bene dal prossimo: diventi legge pratica di vita a muovere il nostro stesso agire buono verso ogni uomo.

 

Don Giovanni Milani