DON GIOVANNI MILANI MEDITA
NELLA QUARTA DOMENICA
DAL MARTIRIO DEL BATTISTA

L’antefatto alla narrazione di oggi è la frazione dei cinque pani e dei due pesci che aveva il ragazzo indicato da Andrea e dati da Gesù in cibo materiale (ma in richiamo simbolico e profetico, ahimè non colto) ai cinquemila. Le folle attraversano il mare, pur di raggiungere Gesù, e vorrebbero addirittura controllarne i movimenti (“Rabbì, quando sei venuto qua?”), ma il Signore legge ed indica quest’anelito solo come ricerca di sazietà materiale, non interpretazione dei suoi segni ed esorta: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. È necessario il pane, il cibo di ogni giorno a nutrire la vita fisica, il corpo, che pure declinerà nella morte, ma “non di solo pane vive l’uomo” (Dt 8,3-> Mt 4,4, Lc 4,4) pure di quel cibo per la vita oltre la morte. La gente, secondo la mentalità d’adempimento della Legge chiede che cosa “debba compiere per fare le opere di Dio”, ma Gesù risponde sorprendentemente che l’opera, l’agire vero, che non pare nemmeno azione, non sembra avere efficacia secondo il pensare umano, è credere. Il credere certo non è un operare della mente, una nascosta azione dell’intelletto, ma il coinvolgersi con il Signore Gesù condividere con lui la vita.

Le folle che pareva volessero seguire Gesù chiedendo a lui indicazione di vita religiosa, pare si ritraggano e ancora chiedono un segno richiamando un segno ed insieme un cibo antico: la manna del deserto, “un pane dal cielo”, cibo tanto fragile da durare un solo giorno, immagine, ma anche realtà debole da non poter sostenere la “vita eterna”. Così Gesù non può che ribattere che il “pane dal cielo, quello vero”, non è dato da Mosè, ma dal Padre. Infatti “il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Qui le folle ci sorprendono (quanto è desiderabile siano voce anche alla nostra fame!) e chiedono: “Signore (non più Rabbì) dacci sempre questo pane”. È la stessa domanda del Padre nostro con cui chiediamo ben oltre il cibo caduco del corpo) infatti Gesù rispondendo più a noi che a quelle folle svela pienamente: “Io sono (la parola ben nota a velare il nome proprio di Dio) il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame in eterno”. Il cibo per la vita eterna non è un dono del Signore Gesù, è lui stesso, la sua persona. Il cammino cristologico di queste domeniche procede ancora sul filo della domanda ricorrente di chi sia il Signore Gesù: il Figlio che agisce come il Padre; il Cristo di Dio che si immola sulla croce; qui il pane della vita: quella eterna.

 

Don Giovanni Milani