Il brano del vangelo che ci è proposto in questa celebrazione domenicale è quello della tradizione antica ambrosiana, nel suo incipit registra: “Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione”: ci raccorda così a questa nostra domenica, ricordo in festa della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani.
Gesù era evidentemente partecipe di quella festa e si trovava “nel tempio, nel portico di Salomone”. La descrizione di Giovanni richiama – probabilmente in modo involontario – l’atteggiamento dell’insegnare nella grecità classica, per noi pur sempre suggestivo, Gesù piuttosto, anche affrontato dai suoi avversari, rimane immerso nella amorevole cura dei suoi.
Siamo nel capitolo decimo di Giovanni, dove il Signore si dichiara pastore nel profondo legame con i suoi, il suo gregge; già aveva proclamato: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore”.
Gli avversari, i “Giudei”, gli si accostano pretestuosamente, ma il Gesù respinge la falsa richiesta che si dichiari apertamente come il Cristo: già lo ha fatto, inoltre il suo operare – come s’esprime – “nel nome del Padre mio”, ne è limpida testimonianza; loro non credono perché non “fanno parte delle sue pecore”.
Gesù non vuole essere maestro né della profana sapienza antica, né vuole addentrarsi nelle disquisizioni sottili delle tradizioni rabbiniche: è il buon pastore che ha cura del proprio gregge, delle pecore sue con le quali intrattiene legame profondo e immediato: “le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.
L’esprimersi del Signore a riguardo dei suoi (anche noi siamo tra i suoi) assume il linguaggio, sia della dolcezza famigliare: l’ascolto della voce, la conoscenza delle pecore (con tutta l’intensità nell’intendere antico nell’esperienza vitale) che anche della forza, nella difesa, nella protezione vigorosa della sua mano che pare essere la stessa del Padre “che è più grande di tutti”.
L’intimità col Padre non è solo realtà del Signore Gesù, ma coinvolge anche i suoi; quel rapporto è l’intensità dell’amore proprio della missione di Gesù verso l’umanità a partire dai suoi discepoli, anche verso noi dunque.
La voce dice l’amore di Gesù che è lo stesso del Padre a darci certezza di una tutela forte e tenera quanto è la mano di Gesù e del Padre stesso da cui nessuno potrà mai rapirci.
Don Giovanni Milani