DON GIOVANNI MEDITA SU NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Nell’ultima domenica dell’anno liturgico onoriamo in preghiera la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, in questo anno con il testo di Luca che inizia con la derisione dei soldati che si burlano del suo essere re, mentre proprio sopra Gesù è appesa la sua proclamazione regale: “Costui è il re dei Giudei”. 

Il terzo vangelo associa la derisone dei soldati a quella (registrata solo nel versetto precedente il nostro testo) dei “capi” (οἱ ἄρχοντες) che apostrofavano: “Ha salvato gli altri! Salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”, mentre il popolo guardava, stava a vedere (θεωρῶν, il verbo dà il senso piuttosto del contemplare): è quanto mi pare ci sia suggerito in questa festa che ci offre un re crocifisso, specie in un tempo turbato come il nostro. 

La regalità del Signore, non è evidentemente nella logica della potenza che si esprime nelle regalità come le conosciamo abitualmente: è dalla croce che Gesù regna, senza staccarsi da quella sofferenza che è redenzione per tutti noi, misconosciuta dal constatare immediato istintivo che esprimono i capi del popolo ed i soldati, ma sa intuire e proclama chi sta nel suo medesimo tormento. 

Sale alla mente, nel volerci porre accanto a questa croce regale a domandare aiuto per la nostra umanità, quanto scriveva Bonhoeffer: “Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza e della sua sofferenza … La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare”. 

La figura del “malfattore” (o dell’“altro” dei malfattori) ci porta a riflettere su questo re sofferente a morte che pure tanto solennemente accoglie l’invocazione di quel disgraziato: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. 

Siamo abituati a chiamarlo il buon ladrone, l’uomo che è sulla croce al pari di Gesù, e di lì ci è singolare maestro di pratica cristiana e di fede anche se i vangeli non usano per lui parole troppo positive: Marco e Matteo usano il termine di brigante e Luca chiama entrambi malfattori quelli in croce col Signore; pure per noi rimane maestro. 

Lui nella sofferenza di morte che lo trova accanto al Signore, riconosce in Gesù la grandezza divina e ci mostra fede che fin ci giunge esemplare; riconosce la propria pena come giusta, esprime così pentimento per le proprie azioni; ed anche rimprovera degli insulti – vera e propria bestemmia – il compagno. Gesù aveva detto: “Se tuo fratello pecca, rimproveralo”: anche così quest’uomo ci si fa esempio. 

Ma è la grandezza del Signore che noi oggi vogliamo celebrare: lo spasimo della croce ce ne mostra il senso vero che è per il perdono – vincendo nella sofferenza di morte la morte – aprire il paradiso a chi pur ha peccato ma nella fede, si riferisce a lui.

 

Don Giovanni Milani