In questa domenica ci sono offerte queste tre parabole tratte dal cosiddetto discorso in parabole di Matteo che, è noto, dipende dal secondo vangelo, ma amplia notevolmente il testo di Marco con nuovi racconti. Come prima è qui narrata quella della zizzania – non la troviamo nel vangelo di Marco – ma come già là, si evidenzia, specie con la spiegazione aggiunta, la tensione tra i discepoli, cui è concesso comprendere il mistero del regno e le folle per cui restano enigmatiche.
Tutte le parabole ci sono ben note: anche questa l’abbiamo sentita raccontare sicuramente più volte: proviamo a rendercela preziosa nella riflessione non solo apprezzando la longanimità del padrone di casa / Padreterno; piuttosto in quel: “Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”, un invito alla fiducia, una sorta di: “Fidatevi di me!”.
Infatti qui troviamo una seconda antitesi, come da spiegazione del Signore Gesù ai discepoli che l’interrogano, tra “figli del regno” e “figli del maligno” adombrati da grano e zizzania, cioè anche quella tra bene e male che il discepolo incontra nel suo cammino di vita e di fede; l’attesa è invito a porre fiducia in quel sicuro: “Raccogliete la zizzania in fasci per bruciarla”: il certo trionfare di bene e giustizia nel giudizio che pone nel granaio il “buon grano” del bene e del discepolo.
Questa prima parabola del “regno dei cieli” (espressione tipica di Matteo), presenta racconto più elaborato e ricco di personaggi: dall’uomo padrone di casa, ai servi, al nemico, tal che i discepoli ne chiedano la spiegazione; seguono poi due parabolette ben più brevi ma icastiche nel segno della vivacità del “regno” fatte di poco più che d’un’immagine: quella del seme ricco di vita che dà origine ad una pianta capace persino d’esser ricettacolo d’altra vita più alta, degli “uccelli del cielo”, ricca, se si vuole, anche d’un soffio di poesia. Ma anche l’altra immagine, del lievito: questa di un percorso men luminoso (il pensiero antico di Paolo che vede il lievito quasi a corrompere la limpidità liturgica dell’azimo) ma tenace, sotterraneo e insperatamente efficace.
Entrambe le immagini ci parlano di un regno che è dono di una larghezza che si fa strada in modo sorprendente e ineluttabile: dal poco o niente che appare a fioritura impensata e grande.
Possiamo tornare al discepolo, cui sono affidate tutte queste parole e immagini del Signore Gesù su cui riflettere: all’invito alla fiducia – lo rilevavamo soprattutto nella prima – che però trova conforto nella certezza della fioritura del regno per vita nuova e più grande della semina evangelica come dell’animazione nascosta, ma certa, della massa. L’esortazione alla fiducia arriva anche a noi, al nostro tempo turbato alle gramigne di male che lo abitano, alla certezza che la fede ci dà nella speranza del regno.
Don Giovanni Milani