Con questa domenica inizia l’anno liturgico, forse può apparire curioso, che la meditazione tratta dai vari evangelisti qui sempre proposta, verta sulle cosiddette “ultime cose”, la realtà definitiva dell’incontro con il Signore.
Mentre si fa ammirare al Signore Gesù la grandiosa costruzione del tempio, la sua risposta meraviglia ed allarma perché ne prevede la distruzione.
Per intendere lo stato d’animo di chi ascolta questa predizione ed ancora la domanda ansiosa di Pietro, Giacomo, Giovanni ed Andrea (i primi chiamati) circa il tempo e i segni premonitori, dobbiamo richiamare il significato che si dava dagli Ebrei al tempio stesso riferimento unico e simbolico d’identità religiosa.
Al tempo della monarchia era lei a dare il senso dell’unità (o dell’anelito ad essa) al popolo eletto, ma dopo l’esilio, solo il tempio ne diventava simbolo e attrazione, tanto più che l’ampliamento di Erode ne aveva fatto una delle meraviglie dell’antichità. Questo simbolo era tanto radicato in cuore che si pensava che la sua distruzione dovesse coincidere con la fine del mondo, della storia.
Ma Gesù – ben consapevole dell’eco emotiva – ne asserisce la caducità e con espressioni tratte dal linguaggio già usato dagli antichi profeti, inserisce anche la rovina del tempio nelle catastrofi che caratterizzando l’avvenire, anche imminente, esigeranno la testimonianza dei discepoli per il sorgere di ingannatori che cercheranno di corromperne la fede riguardo alla venuta finale di Cristo.
La scelta delle espressioni, a richiamare attenzione, ricalca i moduli immaginifici ed allarmanti del linguaggio dei profeti antichi: non sono facilmente leggibili nelle singole proposte ed immagini, ma riconducono ad un’attesa vigilante che esigerà testimonianza persino cruenta, pur sostenuta dallo Spirito santo.
a ultimo però, dopo tutti questi annunci di allarme e di pena, sorgerà la certezza del trionfo definitivo del Signore: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”.
Ciò che è definitivo è questa vittoria del Signore cui sono associato “i suoi eletti” da ogni situazione e luogo.
Si apre l’anno liturgico, ma la Chiesa con la sua liturgia, ci richiama al senso ultimo, alla meta che è l’incontro beatificante e partecipe della trionfante gloria di Cristo, mentre ci addita quella gloria ci esorta alla testimonianza coraggiosa che non si lascia impressionare dal male che sempre minaccia la fragilità dell’uomo e soprattutto la fede del discepolo.
La meta conforti ed illumini le asperità del cammino in una certezza di speranza garantita dalla vittoria del Signore Gesù, Figlio dell’uomo.
Don Giovanni Milani